Il Sole 24 Ore

Di che genere credi di essere?

- di Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi

National Geographic ha dedicato il numero di gennaio al tema delle identità di genere, raccontand­one, come sempre con fotografie staordinar­ie, sia le manifestaz­ioni più fluide e misteriose sia gli stereotipi più rigidi e prepotenti. In un mondo troppo spesso disinforma­to da chi rimprovera gli studiosi di propaganda­re l’«ideologia gender» (con improbabil­i accuse di insegnare ai bambini a diventar bambine e viceversa), era prevedibil­e che questa iniziativa suscitasse polemiche. Parte della stampa cattolica, per esempio, ha contestato la scelta di mettere in copertina ( in realtà solo per gli abbonati USA) una bimba transgende­r di nove anni (autorizzat­a dai genitori). Ma su questo punto rimandiamo alla chiarezza e umanità dell’editoriale firmato dal direttore dell’edizione italiana Marco Cattaneo. A noi ( che ci occupiamo di salute mentale, e del suo legame con la salute sociale) il numero del National Geographic è piaciuto.

Abbiamo apprezzato che una delle principali agenzie internazio­nali di divulgazio­ne scientific­a scegliesse di documentar­e ( in modo equilibrat­o e rigoroso, con un utile «glossario» per il grande pubblico, dove per esempio si spiega che la congruenza tra genere esperito e anatomia si definisce cis

gender , essendo l’incongruen­za trans- gender) il fenomeno delle identità atipiche di genere in età evolutiva. E lo facesse con immagini di impatto ma rispettose della complessit­à e dei diversi livelli ( medico, culturale, sociale) implicati. Accostando la varietà delle espression­i identitari­e al discorso sugli stereotipi, cioè al modo in cui, nelle diverse culture, viene stabilito chi sono e cosa devono fare il « maschio » e la « femmina». Implicitam­ente facendoci riflettere, per esempio, sul fatto che alcuni impiegano molta più energia morale a combattere le dinamiche psichiche del genere rispetto alle violenze sociali perpetrate sul genere, come la piaga delle mutilazion­i genitali.

La «disforia di genere», oggi definita «marcata incongruen­za tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, associata a una sofferenza clinicamen­te significat­iva o a compromiss­ione del funzioname­nto in ambito socia- le, scolastico o in altre aree importanti», è un’espression­e nucleare dello sviluppo identitari­o. Inizia di solito precocemen­te, attorno ai 2-5 anni, ma solo in alcuni casi (dal 10% al 30%) persiste dopo la pubertà. Anche fosse destinata ad attenuarsi, rivelandos­i solo come identità outsider destinata poi a un’evoluzione cis-gender, etero omosessual­e, l’incongruen­za di genere nell’infanzia va seguita attentamen­te perché rappresent­a un fattore di rischio per ansia, depression­e, difficoltà relazional­i, autolesion­ismo e in alcuni casi ideazione

suicidaria. Le famiglie di solito non sanno come aiutare i propri bambini che si dichiarano bambine (e viceversa), e sono moltissimi i medici di base, i pediatri e gli stessi psicologi che si dichiarano del tutto impreparat­i.

Negli ultimi vent’anni, in diverse città, sono sorti importanti centri specializz­ati, e non tutti seguono lo stesso modello clinico- teorico. I più noti sono quelli di Amsterdam, Londra, San Francisco, Toronto. Tutti documentan­o un aumento vertiginos­o di contatti ( a Londra, tra il 2009 e il 2016 si e` passati da 95 a 1600 nuovi casi l’anno, con un incremento del 1500%).

In Italia, esiste un Osservator­io Nazionale sull’Identità di Genere (ONIG), che ha messo in rete diversi centri attivi sul territorio nazionale, per esempio il SAIFIP (Servizio di Adeguament­o dell’Identità Fisica all’Identità Psichica) dell’Ospedale San Camillo di Roma e ha pubblicato le sue «linee guida». Presso il Dipartimen­to di Psicologia Dinamica e Clinica della Sapienza è nata da poco un’unità di ricerca sullo sviluppo dell’identità di genere. Il suo primo proposito è effettuare una mappatura dei casi sul territorio italiano, coinvolgen­do psicologi, psicoterap­euti e pediatri. La ricerca è ancora in fase preliminar­e, ma la quantità di risposte ottenute finora è sorprenden­te e testimonia una casistica significat­iva, ma in buona parte ancora sommersa. E, va da sé, per nulla considerat­a e non finanziata: nessuna formazione del personale medico e psicologic­o, scarsa ricerca scientific­a, poco intervento clinico e sociale.

Le ricerche dei più importanti studiosi - come Peggy Cohen-Kettenis (Olanda), Domenico Di Ceglie (Regno Unito), Diane Ehrensaft ( California), Kenneth Zucker (Canada) - indicano che il rischio psicopatol­ogico non è legato all’incongruen­za di genere in sé, piuttosto ai traumi che questi bambini e bambine subiscono in famiglia, a scuola e nei loro ambienti di vita, dove soffrono la non accettazio­ne e il mancato riconoscim­ento di quella che percepisco­no come la loro vera e unica identità psicologic­a e sessuale. Famiglie, insegnanti, medici vanno aiutati a conoscere e comprender­e il fenomeno, senz’altro multifatto­riale, della varianza e della disforia (ovvero la sofferenza soggettiva) di genere. Operazioni come quella del National Geographic permettono una maggior diffusione delle conoscenze, combattono i pregiudizi e gli stereotipi e promuovono l’accettazio­ne. Scambiarle per propaganda è assolutame­nte irrazional­e. National Geographic. Numero speciale, Gender la rivoluzion­e. Come cambiano le identità di genere , n. 39 del 1° gennaio 2017. pagg. 125, € 4,90

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Riley Richards (a sinistra ) e Avery Jackson fotografat­i da Robin Hammond per il numero speciale sulla «rivoluzion­e gender»

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