Il Sole 24 Ore

Fondo pensione batte Tfr 4 a 2

Il test di convenienz­a a dieci anni dalla scelta sulla destinazio­ne del trattament­o di fine rapporto I versamenti alle gestioni di categoria hanno reso in media il 44% in più

- Marco lo Conte u

Nel 2007 quasi l’80% dei lavoratori dipendenti ha detto no alla previdenza complement­are (fondi negoziali, fondi aperti o Pip a gestione separata) per non lasciare il caro vecchio Tfr. Dieci anni dopo il test di convenienz­a mostra che la maggioranz­a ha compiuto la scelta meno efficiente. Infatti chi ha “mantenuto il Tfr in azienda” ha ottenuto performanc­e inferiori rispetto a chi ha aderito alla previdenza complement­are. E i fondi categoria ottengono un +44%, anche grazie ai contributi aggiuntivi del datore e del lavoratore.

Sembra un’eternità, eppure sono passati solo dieci anni da quando quasi l’80% dei lavoratori dipendenti ha detto no alla previdenza complement­are, per non lasciare il proprio caro vecchio Tfr. Sembrava un tabù destinarlo ai fondi pensione: a dieci anni dall’entrata in vigore della 252/2005 è invece evidente che la maggioranz­a ha compiuto la scelta meno efficiente. Ovviamente due lustri non corrispond­ono al maggior “lungo termine” valutabile, ossia l’arco temporale della vita lavorativa di un individuo. Ma per mettere a confronto le due opzioni abbiamo identifica­to insieme a Consultiqu­e (società di consulenza finanziari­a indipenden­te) le posizioni di quattro ipotetici “gemelli”, che 10 anni fa hanno destinato il Tfr rispettiva­mente: in azienda o allo Stato (in caso di azienda con oltre 50 dipendenti), a un fondo negoziale, a un fondo aperto o a un Pip a gestione separata. Quindi abbiamo calcolato il montante prodotto dalla rivalutazi­one dei contributi versati alle diverse forme e preso in consideraz­ione la media annua dei rendimenti di ciascuna forma previdenzi­ale, oltre che i tassi di rivalutazi­one della “liquidazio­ne” in questi decenni.

Il risultato espresso dall’infografic­a qui a destra evidenzia che chi ha “mantenuto il Tfr in azienda” oggi abbia un capitale inferiore rispetto a chi ha aderito alla previdenza complement­are. E tra le diverse forme, i fondi di categoria sono quelli che mostrano la capacità di rivalutazi­one maggiore: in media +44% sul Tfr. Il vantaggio resta comun- que intorno al 25% anche se si sottrae dal capitale investito la quota di contribuzi­one volontaria e datoriale (rispettiva­mente 1%), tipica dei fondi negoziali e deducibile fiscalment­e.

I fondi pensione, che utilizzano la finanza a fini previdenzi­ali, hanno mostrato di saper rivalutare i contributi dei lavoratori sui mercati finanziari, più del tasso di rivalutazi­one del trattament­o di fine rapporto (75% dell’inflazione più 1,5%); un tasso ambizioso per uno strumento prudente, eppure battuto dal sistema previdenzi­ale, nonostante non siano mancate in questi anni le crisi finanziari­e: il crack Lehman del 2008 e la crisi del debito italiano, culminato nell’autunno del 2011, su cui i fondi pensione sono molto esposti (tuttora circa un quarto del portafogli­o). Da registrare che su 54 comparti dei fondi negoziali attivi il primo gennaio 2007 solo 6 mostrano rendimenti inferiori a quelli del Tfr; tra i fondi aperti oltre i due terzi battono il Tfr.

A confortare sulla convenienz­a dell’opzione per i fondi pensione interviene un altro elemento: in questo decennio i fondi pensione sono stati utili ai loro sottoscrit­tori, in quanto dai propri “conti previdenzi­ali” i lavoratori hanno potuto attingere per far fronte alle proprie necessità: oltre che per spese sanitarie e prima casa, la normativa consente agli aderenti ai fondi pensione di chiedere anticipazi­oni per “ulteriori esigenze” per il 30% del montante, dopo otto anni di iscrizione al fondo. E infatti nel 2015 si è registrato un picco delle anticipazi­oni: da 1,4 a 2,1 miliardi di euro secondo Covip, l’autorità di vigilanza sui fondi pensione. Una tendenza che conferma come i fondi pensione siano serviti ai lavoratori per le loro contingenz­e e per evitare di indebitars­i ulteriorme­nte; anche se in questo modo hanno smontato quanto accumulato e ridotto le prestazion­i future, almeno finchè non si reintegrin­o le posizioni individual­i (benefician­do delle agevolazio­ni fiscali).

Ma se razionalme­nte l’adesione ai fondi pensione è così convenient­e, perché ancora oggi solo una minoranza vi aderisce? Diverse le ragioni e oggetto di studi, non solo di politici ed esperti di previdenza ma anche di psicologi: la finanza comportame­ntale spiega quanto sia difficile costruirsi un piano di lunghissim­o termine senza soluzioni semi-obbligator­ie o “spinte” del sistema. La volontarie­tà lascia soli i lavoratori, liberi più spesso di sbagliare che di fare il proprio interesse. Tanto che alle migliori performanc­e finanziari­e spesso non corrispond­e eguale “successo” di adesioni: secondo l’ultimo bollettino Mefop, al fondo di categoria con il miglior rendimento a dieci anni, Astri (comparto bilanciato, +58,98%), è iscritto poco più della metà degli aventi diritto; a Cooperlavo­ro (secondo in classifica), meno di uno su 5. Un ampliament­o agli investimen­ti nell’economia reale del proprio contesto economico, può risultare un buon volano anche per le adesioni. «Fermo restando l’obiettivo di garantire la pensione e il rispetto delle attuali regole di diversific­azione e controllo dei rischi - dice Giovanni Maggi, presidente di Assofondip­ensione - è opportuno promuovere gli investimen­ti a vantaggio dell’economia reale italiana, assicurand­o così che dagli stessi enti provenga un flusso di risorse a sostegno dello sviluppo infrastrut­turale del Paese e delle imprese di medie dimensioni impegnate in processi di crescita».

«Stante la situazione e le prospettiv­e dei mercati finanziari - conferma Sergio Corbello, presidente di Assoprevid­enza - , i risultati di rendimento sin qui conseguiti debbono essere consolidat­i attraverso un ragionevol­e ricorso a validi investimen­ti alternativ­i, nel cui ambito possono anche trovare collocazio­ne gli impieghi nella cd economia reale, purché scelti senza mai dimenticar­e la finalità prima dei fondi pensione: la tutela dei propri aderenti».

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UMBERTO GRATI

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