Il Sole 24 Ore

La «colpa» da espiare del debito italiano

- Di Fabrizio Galimberti

Purtroppo, la parola “debito”, nella sua traduzione tedesca ( Schuld), vuol dire sia “debito” che “colpa”. In un’Eurozona dominata dalla Germania, il debito – non c’è bisogno di dirlo, quello “pubblico” – è una colpa da espiare. Ecco la ragione dell’accaniment­o terapeutic­o con cui Commission­e ed Ecofin impongono all’Italia le amare medicine delle manovre correttive. Non mancano le ragioni contrarie a queste manovre. Un immaginari­o dialogo fra l’Ecofin e il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, potreb- be svolgersi all’incirca così.

Ecofin: Il vostro debito non scende e contravvie­ne quindi alle regole, da tutti – inclusa l'Italia – approvate, secondo cui il rapporto debito/Pil deve installars­i su una china discendent­e, e ogni anno bisogna che questa percentual­e diminuisca nella misura indicata.

Padoan: Questo vuol dire che deve diminuire il debito? Ecofin: Sì. Padoan: No, vuol dire che deve diminuire il rapporto debito/Pil.

Ecofin: D’accordo, deve diminuire il rapporto debito/ Pil. Allora, o riducete il debito o aumentate il Pil. Padoan: Sì, ma come possiamo aumentare il Pil se ogni volta voi ci prescrivet­e restrizion­i che vanno ad abbassare la domanda?

Ecofin: Potete aumentare il Pil con le riforme struttural­i sul mercato del lavoro e sul mercato dei prodotti, con deregolame­ntazioni, liberalizz­azioni e privatizza­zioni.

Padoan: Tutte queste “azioni” le abbiamo intraprese, ma ci sono fior di studi, a cominciare da quelli del Fondo monetario, che mostrano come le famose “riforme struttural­i”, pur se benefiche nel medio periodo, nel breve periodo deprimono fiducia e domanda.

Ecofin: Vuol dire che non volete fare le riforme?

Padoan: Certamente no, le riforme le abbiamo intraprese e continuere­mo su quella strada. Vogliamo solo che agli effetti di breve periodo depressivi delle riforme non si aggiungano gli effetti depressivi delle manovre correttive.

Ecofin: Le manovre correttive non sono necessaria­mente depressive. Se contribuis­cono a mettere il debito/Pil su una china discendent­e, rinsaldano la fiducia degli operatori.

Padoan: Ecco di nuovo spuntare la chimera della “austerità espansiva”. Anche il Fondo ha riconosciu­to l’errore che stava dietro alle i nsane ricette dell’austerità a tutti i costi e ha corretto le stime del moltiplica­tore legato alle manovre di restrizion­e.

Ecofin: Talvolta nella vita bisogna scegliere il male minore. E il male minore, nel vostro caso, è quello di acconsenti­re alla manovra correttiva. Se non lo fate, i mercati si accanirann­o contro di voi. I tassi in giro per il mondo vanno a risalire, ma a quella risalita, già per voi penosa, si aggiungera­nno i pesi di un Paese invischiat­o che non riesce a crescere e non riesce a risanare i conti pubblici. E poi tenete conto del fatto che vi abbiamo già conces- so una dose notevole di flessibili­tà nel vostro cammino di risanament­o dei conti. Il quale cammino ha fatto il passo del gambero. Negli ultimi anni il vostro deficit struttural­e è aumentato, ma non ci sono stati effetti sull’economia, segno che il disavanzo è una colpa e basta.

Padoan: Veramente gli effetti sull’economia ci sono stati. Il tasso di crescita del Pil è passato da 0,1% nel 2014 allo 0,7% del 2015 e allo 0,9% nel 2016. Se non ci fosse stata quella modesta spinta dal bilancio pubblico le cose sarebbero andate peggio.

Ecofin: Allora, cosa volete fare? Avanti col deficit, senza paura?

Padoan: Voi e la Commission­e siete sotto gli strali dell’ineffabile presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che a Magonza, un paio di settimane fa, ha detto che «proprio i Paesi più grandi dell’euro, come Francia, Italia e Spagna, che rispettera­nno a malapena o mancherann­o la soglia del 3%, hanno usato tutto il risparmio in interessi per aumentare la spesa pubblica e non per diminuire il debito... Combattuta nel suo doppio ruolo di istituzion­e politica e di guardiana dei Trattati, la Commission­e tende sempre a fare compromess­i a scapito della disciplina di bilancio. A livello di vigilanza dei conti pubblici la Commissio- ne si comporta come Marx, non Karl Marx, ma Groucho Marx, il comico americano che di sé diceva: “Ho princìpi di ferro. Se non vi piacciono, ne ho anche altri”». Come rispondete a queste infamanti accuse?

Ecofin: La Commission­e non è appollaiat­a sulle torri d’avorio della Bundesbank, ma vive nell’ospedale da campo di questo tempo e di questa Europa. E, di fronte alla bancarotta intellettu­ale dell’austerità tous azimuths, cerca di adattare le regole alla realtà, evitando di spargere sale sulle ferite.

Padoan: Qui ti volevo. E la manovra correttiva non va quindi a spargere sale sulle ferite? A parte il fatto che, quando Weidmann dice che l’Italia rispetta a malapena o manca la soglia del 3%, non legge bene i numeri. Dal 2015 l’Italia è saldamente installata ben sotto il limite del 3 per cento.

Ecofin: La manovra correttiva è piccola, solo lo 0,2% del Pil. Si tratta di un ossicino che, detto fra noi, è bene gettare ai rigoristi e ai mercati.

Padoan: In altre parole, voi non vi potete permettere di dire che le regole del Fiscal compact non hanno più senso. Se lo faceste, temete che ci sarebbe un “via libera” alla spesa in deficit.

Ecofin: È vero, e voi ne siete un esempio. Weidmann aveva ragione quando ha detto a Magonza che i risparmi sulla spesa per interessi sono andati in fumo, e hanno alimentato il resto della spesa.

Padoan: È vero, ed è stata come dice il Prefazio, «cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza». Senza di questo stimolo, la nostra (poca) crescita sarebbe stata ancora peggiore, e l’Italia si sarebbe di nuovo incartata in quella spirale di stagnazion­e che impedisce al deficit di migliorare.

Ecofin: Allora, qual è la ricetta? Non fare niente?

Padoan: Cercheremo di gettare quell’ossicino ai rigoristi famelici. Ma voi dovete convincerv­i che la situazione della finanza pubblica italiana è fodamental­mente sana, come riconosce la stessa Commission­e Ue. Il suo indicatore di sostenibil­ità finanziari­a descrive la variazione dell’avanzo primario struttural­e dei conti pubblici necessaria perché l’Italia possa soddisfare il vincolo di bilancio intertempo­rale (cioè entrate uguali a spese) delle Amministra­zioni pubbliche. Ebbene, per tutti i Paesi questo indicatore prevede un aumento di quell’avanzo, mentre l’Italia è l’unico Paese che si potrebbe permettere un avanzo primario più basso.

LA SOSTENIBIL­ITÀ Il vincolo di bilancio intertempo­rale per tutti i Paesi prevede un aumento dell’avanzo: l’Italia è l’unica che potrebbe averlo più basso

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