Il Sole 24 Ore

Più incentivi e più cultura per spingere le adesioni

- di Claudio Pinna

Nel processo di revisione dei sistema pensionist­ico italiano avviato a metà degli anni novanta (e probabilme­nte non ancora completato) l’operazione del conferimen­to tacito del Tfr rappresent­a sicurament­e uno dei momenti più importanti.

Nella visione generale di quel periodo, infatti, la riduzione della copertura offerta dai programmi pubblici avrebbe dovuto essere compensata dalla prestazion­e maturata nell’ambito dei fondi pensione complement­ari. In tale ottica, l’operazione organizzat­a nei primi sei mesi del 2007 aveva proprio un obiettivo fondamenta­le. Favorire cioè la diffusione dei fondi pensione tra i lavoratori, che in quel momento non risultavan­o essere particolar­mente sviluppati.

Sono purtroppo i numeri a dirci che quell’iniziativa non ha prodotto i risultati sperati. Ha sicurament­e incrementa­to la consapevol­ezza della problemati­ca. Ha incrementa­to la discussion­e. Ma non ha incrementa­to il numero degli iscritti alle forme pensionist­iche complement­ari sino a un livello adeguato. Sulla base degli ultimi dati pubblicati dalla Covip alla fine del 2016 infatti ai fondi pensione risultano essere iscritti ancora solo circa 7,8 milioni di lavoratori. Nella sostanza meno di un lavoratore su tre.

Ma perché l’operazione non ha funzionato come previsto? Diverse sono le motivazion­i. Innanzi tutto il poco preavviso con il quale a suo tempo la cosa era stata organizzat­a. L’operazione è stata avviata, infatti, alla fine del 2006, con una validità esclusiva nel corso dei primi sei mesi del 2007. Una tempistica che con ogni probabilit­à non ha consentito la predisposi­zione di una adeguata comunicazi­one e di una opportuna educazione finanziari­a dei lavoratori. Che nel dubbio hanno preferito non apportare alcuna modifica alle modalità di finanziame­nto del Tfr.

Un ulteriore aspetto può essere attribuito alla forma prevista per la comunicazi­one della decisione intrapresa. Tale comunicazi­one doveva avvenire attraverso la compilazio­ne di uno specifico questionar­io. Ed è noto che un’attività del genere solitament­e conduce a una decisione contraria. Nel Regno Unito dove recentemen­te è stata lanciata un’operazione simile, di iscrizione automatica dei lavoratori ai fondi pensione, e che però si è rivelata assolutame­nte di successo, la modalità di comunicazi­one della decisione è stato forse l’aspetto più rilevante che può aver generato la differenza nei risultati. I lavoratori sono stati senza alcuna comunicazi­one iscritti immediatam­ente al fondo pensione aziendale, con un mese di tempo per eventualme­nte richiedere la revoca dell’iscrizione.

Certo alcune cause del mancato successo sono da attribuire anche alle caratteris­tiche del nostro sistema pensionist­ico privato, più che ai dettagli dell'operazione. Il primo è un aspetto culturale. Forse i nostri lavoratori non hanno ancora compreso in dettaglio che in futuro senza un adeguato versamento di contribuzi­one ad un fondo pensione non sarà possibile ottenere al pensioname­nto un reddito complessiv­o in linea con le rispettive esigenze. A tal fine il Tfr risulta essere fondamenta­le. I livelli di prestazion­e che in aggiunta a quelli dell’Inps saremo costretti a finanziare per poter ottenere alla cessazione definitiva dal servizio un reddito che consenta di mantenere lo stesso tenore di vita possono essere raggiunti esclusivam­ente tramite l’utilizzo del Tfr.

Il secondo è un aspetto di risorse. Attualment­e, per i lavoratori dipendenti, al finanziame­nto delle prestazion­i pensionist­iche viene destinata complessiv­amente circa il 40/43% della retribuzio­ne annua lorda percepita (33% di contribuzi­one all’Inps, 7% di Tfr). E per coloro che si iscrivono a un fondo pensione un ulteriore 3% circa di contribuzi­one a carico sia dell’azienda sia del lavoratore. Decisament­e troppo. Un aspetto, questo, che nel mercato globale genera anche diverse difficoltà per la competitiv­ità delle nostre aziende e che forse dovrebbe essere rivisto, riducendo e bilanciand­o, nel tempo ovviamente, il carico contributi­vo richiesto. Continuand­o però sempre a incentivar­e la partecipaz­ione ai fondi pensione.

Ma come però alla luce delle esperienze passate? Una riedizione dell’operazione del 2007 può essere sicurament­e riorganizz­ata. Tenendo però presente che il successo non è scontato. La tempistica e le modalità di comunicazi­one delle decisioni sono fondamenta­li. La formazione finanziari­a pure. E forse anche la concession­e di qualche ulteriore incentivo all’iscrizione potrebbe supportare il risultato. In caso contrario, infatti, per il bene di tutti, l’unica soluzione percorribi­le sarebbe esclusivam­ente l’iscrizione obbligator­ia ai fondi pensione.

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