Partecipate, il taglio parte in sordina
Oltre mille quelle in liquidazione, mentre per sfoltire il resto della galassia criteri ancora incerti
Nella foresta delle partecipate ci sono 1.079 società in liquidazione, in scioglimento o finite in procedure concorsuali. E la riforma vera e propria non è ancora partita.
Questo dato, scritto nell’ultimo censimento che il dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia ha dedicato al tema, pone un elemento nuovo nel dibattito sulle società pubbliche, riaccesosi con l’approvazione preliminare, venerdì scorso in Consiglio dei ministri, del decreto correttivo del «taglia-partecipate».
I primi effetti
La discussione su criteri, parametri e deroghe è destinata a continuare. Intanto hanno cominciato a mostrare i propri effetti le norme avviate negli anni scorsi per imporre agli enti locali di accantonare in bilancio fondi di garanzia crescenti a copertura delle perdite delle partecipate. Quest’obbligo, che sottrae spazi di spesa corrente, ha rappresentato un disincentivo vero e, insieme alle facilitazioni fiscali per le dismissioni, ha cominciato a produrre uno sfoltimento reale nel panorama delle società pubbliche.
Quello atteso dalle nuove regole, invece, è ancora tutto da definire. Nel decreto correttivo approvato in prima lettura venerdì, e imposto dalla sentenza 251/2016 della Corte costituzionale, che ha giudicato illegittime le procedure seguite per arrivare al provvedimento originario, il governo ha deciso di confermare l’obbligo di dismissione per le società con meno di un milione di euro di fatturato medio, da abbandonare insieme alle aziende che hanno più amministratori che dipendenti. La partita, però, è ancora aperta, perché è probabile che gli amministratori locali torneranno alla carica con la richiesta di parametri più flessibili per concedere «l’intesa» prima del via libera finale. Le Regioni, dal canto loro, qualche deroga l’hanno già ottenuta e i loro presidenti potranno decidere di far uscire del tutto le società che ritengono indispensabili per l’interesse pubblico.
I confini indefiniti
Non c’è, però, solo il problema di capire con quali criteri operare il taglio, ma anche di conoscere il numero delle partecipate su cui agire. Nessuno, infatti, ha ben chiare le dimensioni del fenomeno. Da anni si tenta di disegnare una mappa la più attendibile possibile, chiedendo alle amministrazioni di inviare i dati sulle loro partecipazioni, informazioni che prima venivano raccolte dal ministero della Pubblica amministrazione, mentre ora se ne occupa il dipartimento del Tesoro.
Secondo l’ultima recente rilevazione, che ha messo a fuoco la situazione al 2014, le società partecipate sono 8.893, con oltre 34mila partecipazioni dirette e più di 48mila indirette. Nel dettaglio, le società partecipate dalle amministrazioni centrali sono 562, quelle riferibili agli enti locali 8.386, 31 agli istituti di previdenza e altre 237 di varia natura (il totale delle singole voci non corrisponde, per questioni di modalità di rilevazione, a quello complessivo). Già questi dati fotografano una realtà grande e composita.
Si tratta, però, solo di una fetta della galassia. Infatti una parte degli interessati al censimento non ha risposto. Come rileva il Tesoro, il numero di amministrazioni potenzialmente coinvolte dalla rilevazione sono 10.770, ma solo poco più della metà (6.702) ha inviato le informazioni attraverso l’apposito portale. Di quel numero, 6.059 hanno dichiarato le loro partecipazioni, mentre 643 hanno risposto di non averne alcuna. Una lenta messa a fuoco del sistema, se si pensa che il numero di comunicazioni ha avuto, tra il 2011 e il 2014, un incremento del 62%, ma che resta ancora parziale. Anche perché non è infrequente che i dati trasmessi dalle ammi- nistrazioni siano approssimativi, quando non errati.
La rete delle società
Tenendo conto di queste precauzioni, sulla base delle informazioni finora raccolte si registra che è la Lombardia la regione dove si concentra il più alto numero di partecipate (il 16% del totale ), seguita dal l’ Emilia-Romagna (9,6%), il Veneto ( 9,4%) e, a pari merito, il Piemonte e la Toscana (9%).
Si tratta soprattutto di quella galassia di oltre 8mila società che fanno riferimento alle amministrazioni locali: in particolare, 6mila ai Comuni, più di 1.800 alle Province, quasi 800 alle Regioni, circa 1.300 alle Camere di commercio. Di questa realtà diffusa sul territorio, la gran parte è impegnata nel settore terziario (6mila partecipate): dall’istruzione ai servizi di supporto alle imprese, dall’assistenza sociale al commercio, dallo sport all’arte. Ci sono, poi, oltre 2mila società attive nel settore delle utilities, cioè la fornitura di acqua, energia elettrica e gas o nella gestione dei rifiuti.
L’83% delle partecipate dalle amministrazioni locali è di piccole dimensioni: impiegano meno di 50 persone e presso di loro lavora poco più del 9% dei 411mila addetti. Le imprese di grandi dimensioni, con oltre 250 lavoratori, rappresentano il 4,5% del totale, ma assorbono il 70% dei dipendenti.
Se si dovesse operare il taglio voluto dalla riforma Madia - fermo restando il limite di un milioni di euro di fatturato - sarebbero a rischio oltre 5mila società (si veda Il Sole 24 Ore del 24 gennaio scorso). Ma questo è un discorso ancora tutto aperto, un’incertezza che si somma a tutte le altre che accompagnano questa complicata operazione di censimento e di conseguente sfoltimento.
IL GIRO DI VITE Iniziano a produrre effetti le norme degli anni scorsi sull’obbligo per gli enti locali di accantonare fondi a copertura delle perdite