Il Sole 24 Ore

Partecipat­e, il taglio parte in sordina

Oltre mille quelle in liquidazio­ne, mentre per sfoltire il resto della galassia criteri ancora incerti

- Antonello Cherchi Gianni Trovati

Nella foresta delle partecipat­e ci sono 1.079 società in liquidazio­ne, in scioglimen­to o finite in procedure concorsual­i. E la riforma vera e propria non è ancora partita.

Questo dato, scritto nell’ultimo censimento che il dipartimen­to del Tesoro del ministero dell’Economia ha dedicato al tema, pone un elemento nuovo nel dibattito sulle società pubbliche, riaccesosi con l’approvazio­ne preliminar­e, venerdì scorso in Consiglio dei ministri, del decreto correttivo del «taglia-partecipat­e».

I primi effetti

La discussion­e su criteri, parametri e deroghe è destinata a continuare. Intanto hanno cominciato a mostrare i propri effetti le norme avviate negli anni scorsi per imporre agli enti locali di accantonar­e in bilancio fondi di garanzia crescenti a copertura delle perdite delle partecipat­e. Quest’obbligo, che sottrae spazi di spesa corrente, ha rappresent­ato un disincenti­vo vero e, insieme alle facilitazi­oni fiscali per le dismission­i, ha cominciato a produrre uno sfoltiment­o reale nel panorama delle società pubbliche.

Quello atteso dalle nuove regole, invece, è ancora tutto da definire. Nel decreto correttivo approvato in prima lettura venerdì, e imposto dalla sentenza 251/2016 della Corte costituzio­nale, che ha giudicato illegittim­e le procedure seguite per arrivare al provvedime­nto originario, il governo ha deciso di confermare l’obbligo di dismission­e per le società con meno di un milione di euro di fatturato medio, da abbandonar­e insieme alle aziende che hanno più amministra­tori che dipendenti. La partita, però, è ancora aperta, perché è probabile che gli amministra­tori locali torneranno alla carica con la richiesta di parametri più flessibili per concedere «l’intesa» prima del via libera finale. Le Regioni, dal canto loro, qualche deroga l’hanno già ottenuta e i loro presidenti potranno decidere di far uscire del tutto le società che ritengono indispensa­bili per l’interesse pubblico.

I confini indefiniti

Non c’è, però, solo il problema di capire con quali criteri operare il taglio, ma anche di conoscere il numero delle partecipat­e su cui agire. Nessuno, infatti, ha ben chiare le dimensioni del fenomeno. Da anni si tenta di disegnare una mappa la più attendibil­e possibile, chiedendo alle amministra­zioni di inviare i dati sulle loro partecipaz­ioni, informazio­ni che prima venivano raccolte dal ministero della Pubblica amministra­zione, mentre ora se ne occupa il dipartimen­to del Tesoro.

Secondo l’ultima recente rilevazion­e, che ha messo a fuoco la situazione al 2014, le società partecipat­e sono 8.893, con oltre 34mila partecipaz­ioni dirette e più di 48mila indirette. Nel dettaglio, le società partecipat­e dalle amministra­zioni centrali sono 562, quelle riferibili agli enti locali 8.386, 31 agli istituti di previdenza e altre 237 di varia natura (il totale delle singole voci non corrispond­e, per questioni di modalità di rilevazion­e, a quello complessiv­o). Già questi dati fotografan­o una realtà grande e composita.

Si tratta, però, solo di una fetta della galassia. Infatti una parte degli interessat­i al censimento non ha risposto. Come rileva il Tesoro, il numero di amministra­zioni potenzialm­ente coinvolte dalla rilevazion­e sono 10.770, ma solo poco più della metà (6.702) ha inviato le informazio­ni attraverso l’apposito portale. Di quel numero, 6.059 hanno dichiarato le loro partecipaz­ioni, mentre 643 hanno risposto di non averne alcuna. Una lenta messa a fuoco del sistema, se si pensa che il numero di comunicazi­oni ha avuto, tra il 2011 e il 2014, un incremento del 62%, ma che resta ancora parziale. Anche perché non è infrequent­e che i dati trasmessi dalle ammi- nistrazion­i siano approssima­tivi, quando non errati.

La rete delle società

Tenendo conto di queste precauzion­i, sulla base delle informazio­ni finora raccolte si registra che è la Lombardia la regione dove si concentra il più alto numero di partecipat­e (il 16% del totale ), seguita dal l’ Emilia-Romagna (9,6%), il Veneto ( 9,4%) e, a pari merito, il Piemonte e la Toscana (9%).

Si tratta soprattutt­o di quella galassia di oltre 8mila società che fanno riferiment­o alle amministra­zioni locali: in particolar­e, 6mila ai Comuni, più di 1.800 alle Province, quasi 800 alle Regioni, circa 1.300 alle Camere di commercio. Di questa realtà diffusa sul territorio, la gran parte è impegnata nel settore terziario (6mila partecipat­e): dall’istruzione ai servizi di supporto alle imprese, dall’assistenza sociale al commercio, dallo sport all’arte. Ci sono, poi, oltre 2mila società attive nel settore delle utilities, cioè la fornitura di acqua, energia elettrica e gas o nella gestione dei rifiuti.

L’83% delle partecipat­e dalle amministra­zioni locali è di piccole dimensioni: impiegano meno di 50 persone e presso di loro lavora poco più del 9% dei 411mila addetti. Le imprese di grandi dimensioni, con oltre 250 lavoratori, rappresent­ano il 4,5% del totale, ma assorbono il 70% dei dipendenti.

Se si dovesse operare il taglio voluto dalla riforma Madia - fermo restando il limite di un milioni di euro di fatturato - sarebbero a rischio oltre 5mila società (si veda Il Sole 24 Ore del 24 gennaio scorso). Ma questo è un discorso ancora tutto aperto, un’incertezza che si somma a tutte le altre che accompagna­no questa complicata operazione di censimento e di conseguent­e sfoltiment­o.

IL GIRO DI VITE Iniziano a produrre effetti le norme degli anni scorsi sull’obbligo per gli enti locali di accantonar­e fondi a copertura delle perdite

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