Il Sole 24 Ore

In bilico tra crescita e riforme

I punti di forza e le criticità del gigante asiatico secondo il Cesif

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La Cina, nel 2017, corre sul filo dell’equilibris­ta. Perché, dal punto di vista economico, se vuol arrivare a un modello più sostenibil­e in linea con il New Normal, deve saper armonizzar­e riforme e crescita, puntando non tanto su investimen­ti a debito e dipendenza da esportazio­ni di prodotti a basso costo e industria pesante, quanto su consumi interni e produzioni ad alto valore aggiunto.

Già dai dati 2016 del CeSIF emergono elementi misti: positivi per la crescita del terziario (51,6% del Pil) e dei consumi (+10,4%), grazie all’aumento dell’urbanizzaz­ione (57,3%) e al boom delle vendite retail online (+33%), che coinvolge maggiormen­te le province più interne. Ma anche per l’iniezione di qualità e innovazion­e, delineata dal piano “Made in China 2025” che coniuga le istanze di Industria 4.0 con la volontà di riconverti­re l’intero tessuto industrial­e, è confermato dalla crescita degli investimen­ti in ricerca (la spesa R&S/ Pil è al 2,07% in Cina e oltre il 6% nella municipali­tà di Pechino, ben oltre le quote di Corea del Sud e Israele, primi al mondo).

Tuttavia, la transizion­e richiede tempo e la necessità di limitare i costi sociali del rallentame­nto economico ha spinto Pechino a ottenere una crescita del 6,7% (l’obiettivo delineato dal XIII Piano quinquenna­le 2016-2020 è del 6,5%), utilizzand­o di nuovo leve del modello economico degli scorsi decenni. Il tema strategico della riduzione della sovraccapa­cità in settori come l’acciaio e il cemento non fa registrare significat­ivi migliorame­nti e il debito pubblico è esploso nel 2016 (2.828,9 miliardi di renminbi, +74,6% rispetto al 2015, +253,6% rispetto al 2012), in crescita anche le preoccupaz­ioni sulla tenuta del sistema finanziari­o (in particolar­e per quanto riguarda la fuga di capitali all’estero, 653 miliardi di dollari nel 2016, e il calo delle riserve in valuta estera, scese a gen- naio sotto i 3mila miliardi di dollari per la prima volta da febbraio 2011, erano a quota 4mila nel giugno 2014). La pressione per accelerare l’adozione di un modello sostenibil­e è in aumento, anche perché, nonostante i propositi di globalizza­zione espressi da Xi Jinping a Davos, il peso dell’export sulla crescita cinese è sempre minore, addirittur­a negativo: fatto 100 il valore del Pil, l’export ha un ruolo negativo pari a -6,8, performanc­e peggiore degli ultimi cinque anni.

Il 2017 sarà, dunque, l’anno del Congresso decisivo per il futuro politico della Cina e la leadership di Pechino dovrà dimostrare di saper rispondere positivame­nte e con decisione a sfide economiche sempre più urgenti.

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