Il Sole 24 Ore

La chance delle misure alternativ­e

- Di Fabio Fiorentin

Il sistema delle misure alternativ­e alla detenzione è una vera “valvola di sfogo” per il sistema penitenzia­rio e sta in parte arginando l’aumento del numero dei reclusi nelle carceri italiane. I dati del ministero della Giustizia testimonia­no, infatti, un costante aumento delle misure alternativ­e in esecuzione sul territorio nazionale, in costante ascesa se si guarda al passato meno recente. Al 31 dicembre del 2010 erano 15.828 i condannati affidati in prova ai servizi sociali, in semilibert­à o assegnati alla detenzione domiciliar­e, contro le oltre 34mila persone sottoposte a misure alternativ­e al 31 gennaio scorso. E se negli ultimi anni non ci sono più stati picchi, il trend d’aumento resta comunque costante, in media per un migliaio di condannati in più all’anno negli ultimi tre anni.

Dietro a questi numeri c’è l’impegno della magistratu­ra di sorveglian­za, che ha fatto crescere le esecuzioni penali esterne al carcere senza pregiudica­re le esigenze di sicurezza della collettivi­tà, se è vero che – dati alla mano – sono davvero sporadici i casi di revoca di misure alternativ­e per l’insuccesso della prova o per la commission­e di un nuovo reato da parte dell’ammesso.

Va rilevato, però, che i tempi dell’istruttori­a nei procedimen­ti di applicazio­ne delle misure alternativ­e si sono dilatati, soprattutt­o per le difficoltà operative in cui versano gli uffici dell’esecuzione penale esterna (Uepe), che rappresent­ano, di fatto, il braccio operativo della giustizia su questo fronte.

Si tratta di uffici ai quali, negli ultimi anni, sono state affidate sempre maggiori competenze e il cui carico di lavoro è quindi lievitato nel tempo. Alle nuove attività, però, non corrispond­ono sufficient­i ricorse di personale e di mezzi per farvi fronte. Da tre anni a questa parte, gli Uepe sono impegnati in prima linea anche sul fronte dei procedimen­ti in materia di sospension­e del processo con messa alla prova dell’imputato, istituto su cui si gioca una parte importante della strategia di deflazione del sistema penale. Gli Uepe, in particolar­e, sono incaricati di predisporr­e i programmi e le attività riparative su cui si sviluppa la messa alla prova dell’imputato. Guardando ai dati territoria­li, si vede che in alcune aree - come in Friuli Venezia Giulia - le istanze di messa alla prova sono state numerose, ma quelle concretame­nte avviate sono state molte meno. Un risultato dovuto soprattutt­o all’eccessivo carico di lavoro per gli Uepe, che non riescono a fronteggia­re la massa delle istanze. In altri territori, invece, come nel Lazio e in molte regioni del Sud Italia, il ricorso alla messa alla prova è ancora marginale.

Dai dati del ministero della Giustizia sulla popolazion­e carceraria emerge una lenta, ma costante, crescita del numero di presenze negli stabilimen­ti penitenzia­ri, risalita a gennaio 2017 a quota 55.381 detenuti, dopo il minimo di 52.164 raggiunto nel dicembre 2015. A fronte dell’understate­ment politico (la recente relazione del ministro Andrea Orlando sullo stato della giustizia non menziona il problema), il dato non è però sfuggito ai tecnici. Questi ultimi, in particolar­e, guardano con preoccupaz­ione alle possibili conseguenz­e dell’eventuale aggravarsi di una criticità che potrebbe porre di nuovo, come già quattro anni fa dopo la sentenza «Torreggian­i», l’Italia nella scomoda e umiliante veste di “osservata speciale” per le condizioni detentive praticate negli istituti penitenzia­ri. Uno scenario che imporrebbe gravi conseguenz­e non solo per le sanzioni pecuniarie che verrebbero imposte dall’Europa nel caso fosse accertata la perdurante violazione da parte del nostro Paese dell’articolo 3 della Convenzion­e europea dei diritti dell’uomo (che vieta i «trattament­i inumani o degradanti»), ma anche per le difficoltà che insorgereb­bero sul piano della cooperazio­ne giudiziari­a internazio­nale.

Le richieste di estradizio­ne avanzate dall’Italia potrebbero infatti– come è già accaduto in un recente passato – essere rifiutate dagli altri Stati dell’Ue qualora vi fosse il fondato motivo di ritenere che l’estradato possa subire in Italia una detenzione contraria alla dignità umana.

Se è vero che le cause dietro l’aumento dei detenuti sono molte, è chiaro che, a fronte di tali possibili scenari, puntare sugli strumenti dell’esecuzione penale esterna è una delle vie da seguire per decomprime­re la situazione nelle carceri. In questa prospettiv­a, si deve quindi guardare con interesse al disegno di legge in materia di riforma dell’ordinament­o penitenzia­rio in corso di esame da parte del Parlamento e al recepiment­o delle importanti indicazion­i emerse dai lavori degli Stati generali dell’esecuzione penale da poco conclusisi.

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