L’interesse del Paese e le riforme da completare
Due interrogativi restano senza risposta per gran parte degli italiani che hanno assistito in questi giorni al teatrale confronto dentro il Pd e alla scissione che - dopo mesi di litigi, divisioni, rotture spesso incomprensibili - segna forse la fine di un partito nato - con la sua vocazione maggioritaria - per aggregare. Il primo interrogativo è: scissione per fare cosa? E il secondo: questa scissione - aldilà degli interessi personali di chi l’ha messa in moto e di quelli di chi non ha saputo o voluto evitarla - fa il bene del Paese?
L’interesse del Paese - lo ribadiamo subito - è proseguire con decisione e senza indugi in un percorso di riforme avviato da Matteo Renzi, pur fra errori e contraddizioni, ma anche con qualche buon risultato. Il tempo non va sprecato e quel percorso deve essere completato per provare a incassare - sulla crescita, sul debito pubblico, sulla ripresa dell’occupazione, sul riordino bancario, sulla riforma della Pa - quel “dividendo delle riforme” che ci consentirebbe di lasciare alla prossima legislatura un Paese più forte e risanato e di affrontare con maggiore serenità mesi difficilissimi sul fronte interno ed europeo. Ci consentirebbe forse di affrontare meglio uno scenario senza lo scudo QE della Bce che oggi nasconde il reale valore dello spread italiano ma non durerà in eterno.
Queste due domande sono legittime perché il dibattito di questi giorni è stato tutt’altro che rassicurante. Gli attacchi gratuiti e superficiali alle politiche di privatizzazioni che sono venuti da entrambi gli schieramenti, senza neanche sentire il bisogno di motivare inversioni di rotta rispetto a percorsi condivisi da anni, gli altolà a base di slogan al ministro Padoan sulle misure correttive per evitare una procedura di infrazione che pagheremmo amaramente in termini di crescita della spesa per interessi sul debito pubblico, i riferimenti generici alle politiche sociali e “di sinistra” da mettere in atto fanno pensare a una rincorsa delle parole d’ordine del convitato di pietra populista piuttosto che a un dibattito serio di un grande partito della sinistra capace di fare il punto sul percorso riformista fatto per poi proporne evoluzioni, continuazioni, correzioni, collegamenti, nuove frontiere.