Il rischio bolla non spaventa i mercati
Dalle elezioni Usa le Borse globali hanno guadagnato 6mila miliardi di dollari di capitalizzazione
pPrima delle presidenziali Usa dello scorso novembre la maggior parte degli analisti temeva forti ribassi sui mercati azionari nel caso avesse trionfato, come poi è stato, il tycoon.
Il cigno nero, invece, con Trump ha preso un’altra strada e ha puntato il mercato obbligazionario il cui valore globale si è sgonfiato di 2mila miliardi di dollari (da 47mila miliardi a 45mila). Il tutto mentre le Borse anziché sprofondare hanno continuato a gonfiarsi. Prima della vittoria di Trump la capitalizzazione globale delle Borse era di 64mila miliardi. Oggi siamo oltre la soglia dei 70mila miliardi: ciò vuol dire che in appena tre mesi gli investitori hanno posizionato sul mercato azionario 6mila miliardi. Per intenderci, sulle Borse è finito il controvalore del Pil di Germania e Italia messi insieme. Solo la scorsa settimana il valore mondiale dell’equity è aumentato di 900 miliardi, più del Pil di Olanda o Turchia.
A questo punto il record (72mila miliardi) toccato a metà 2015 è vicino. Rispetto ai minimi del 2009 (27mila miliardi) la capitalizzazione globale è cresciuta del 160%: i n soldoni, 43mila miliardi in più. Dal 2015 (complice l’incertezza legata all’impatto sull’economia globale di una politica restrittiva degli Usa) sulle Borse c’è stata una correzione che ha portato il valore a 58mila miliardi (12 mesi fa). Da allora (appurato che la stretta monetaria avviata dagli Usa potrebbe essere gestita senza shock, in particolare dall’economia cinese) i soldi sono tornati sull’equity. Con una violenta escalation (al contrario delle previsioni) proprio dopo la vittoria di Trump.
Wall Street (che raccoglie oggi quasi il 40% della torta globale degli investimenti in Borsa) è sui massimi di tutti i tempi. E anche le Borse europee - a dispetto del rischio politico che corre nel 2017 l’area euro con elezioni in Olanda, Francia e Germania - da inizio anno sono in attivo (+3%).
Non mancano però le contraddizioni di fondo con gli esperti che iniziano a chiedersi se a questo punto, sia concreto il rischio che si stia creando una bolla finanziaria. Tra le contraddizioni c’è l’inedita correlazione positiva tra azioni e oro. Dai minimi di metà dicembre il valore del metallo giallo è cresciuto di quasi il 10%, a 1.238 dollari l’oncia. Di solito, essendo l’oro uno strumento difensivo (uno dei beni rifugio per eccellenza) tende a salire quando le Borse scendono. Invece in questo momento oro e azioni sembrano fatti della stessa pasta. Altro punto che non torna è l’andamento del Vix, l’indice sulla volatilità di Wall Street. Da tre mesi non supera i 14 punti, mai così costantemente basso. E soprattutto mai così basso in presenza di acquisti consistenti di oro.
In realtà, per quanto a prima vista questi movimenti possano sembrare irrazionali, una logica di fondo c’è. L’oro sta salendo per due motivi: Trump ha promesso forti stimoli fiscali (un aumento del deficit al 6% del Pil per tre anni) che dovrebbero spingere all’insù l’inflazione negli Usa e, a cascata, in Europa. E l’oro, si sa, è una delle classi di investimento più preziose in caso di “reflazione”. Inoltre, i mercati hanno ben chiari i rischi politici europei con Olanda, Francia e Olanda (e forse Italia) alla prova elettorale dei crescenti movi- menti anti-establishment.
Ecco spiegato il movimento anomalo dell’oro rispetto alle Borse. Ma perché le azioni continuano a salire? Anche qui c’è lo zampino di Trump che con una serie di promesse (stimoli fiscali alle imprese che reimpatriano capitali, maggiore deregulation per le banche, inflazione sostenuta) sta appagando la brama degli investitori che continuano a comprare i titoli a Wall Street nonostante questi oggi valgano 18 volte gli utili attesi, utili che già scontano il migliore dei mondi possibili (ovvero che tutte le promesse di Trump ottengano senza intoppi i risultati raggiunti). Questo fattore di rischio al momento non interessa gli operatori anche perché i bond, la storica alternativa alle azioni, sono considerati ancora più rischiosi. Punto primo perché vengono da 35 anni consecutivi di rialzi. Punto secondo perché con l’aumento dell’inflazione atteso (anche qui per via delle politiche di Trump) la realtà è che oggi i bond scottano più delle azioni. Gli investitori stanno passando di mano il cerino acceso dalle obbligazioni alle azioni. Sperando che Trump non li deluda e che quel cerino non si spenga all’improvviso.rov
LA GRANDE ROTAZIONE Il mercato dei bond a livello globale si è sgonfiato di 2mila miliardi dalla vittoria di Donald Trump a oggi