Quella fuga dai bond che alimenta il rally Usa
Aguardare i mercati finanziari, infatti, qualcosa sembra non quadrare. Si può comprendere che Wall Street corra sperando che la nuova politica fiscale di Trump faccia crescere gli utili aziendali. Ma allora non si capisce come mai siano bersagliati dagli acquisti anche i Paesi emergenti del Sud America, con cui il nuovo inquilino della Casa Bianca non è certo tenero. E, guardando ai record di Wall Street, appare paradossale anche il rally recente dell’oro: nella storia è rarissimo che il metallo giallo (bene rifugio) sia così gettonato mentre la Borsa corre (che invece indica propensione per il rischio). In realtà questi paradossi sono solo apparenti: si possono infatti spiegare benissimo con la rotazione dei grandi portafogli degli investitori internazionali sulla base di tre macro-temi dominanti. Uno: l’inflazione. Due: la politica fiscale espansiva di Trump. Tre: il rischio politico in Europa.
La grande rotazione
L’inflazione è il tema principale sui mercati. Dopo anni in cui si temeva la deflazione, il mondo è cambiato. Negli Usa il carovita è ormai vicino all’obiettivo della Federal Reserve (2%), e in tanti si iniziano a domandare se possa addirittura superare questo livello. Anche in Europa l’inflazione sale e si avvicina al target della Bce. In questo contesto, comprare obbligazioni (specialmente titoli di Stato) non ha più senso: i rendimenti sono destinati a salire (in realtà l’hanno già fatto molto) e i prezzi a scendere per adeguarsi alla maggiore inflazione. Dopo circa 35 anni di rally sui mercati obbligazionari, sta quindi cambiando un’epoca. Così dal novembre scorso il valore dei bond globali è diminuito di 2mila miliardi di dollari.
Ovvio che questa montagna di soldi in fuga dai bond (principalmente titoli di Stato) da qualche parte debba essere riallocata. E qui entrano in gioco le altre due variabili: Trump e l’Europa. Il primo, con le sue «fenomenali» promesse fiscali (ripetiamo, sono parole sue), ha attirato molti capitali verso Wall Street: del resto se Trump manterrà le promesse, gli utili delle aziende americane potrebbero crescere del 5-10% (secondo le varie stime) rispetto a quanto non fosse previsto prima di Trump. La paura che l’Eurozona imploda, con le elezioni francesi alle porte e con il nuovo caos in Grecia, è il secondo tema dominante: questo ha causato un forte deflusso di capitali dai bond (non dalle azioni) del Vecchio continente. E i soldi usciti dall’Europa dove sono andati? In parte negli Usa, ma in parte anche nei Paesi emergenti. E, in un’ottica di protezione dai rischi politici e inflattivi, anche sull’oro. Ecco perché Wall Street, oro ed emergenti corrono insieme: perché i capitali cercano nuovi lidi.
Il rischio di eccessi
E qui veniamo al punto: se Wall Street e i Paesi emergenti attirano tanti capitali che altrimenti non saprebbero dove andare, il rischio è che ne attirino troppi. Il rischio è insomma che la scarsità di alternative e la “moda” creino degli eccessi. E in effetti è quanto sta accadendo. Prendiamo ad esempio Wall Street. Se è comprensibile che la Borsa corra con un presidente che promette robusti tagli alle tasse delle imprese, è un po’ meno ovvio che galoppi così tanto prima che questa promessa si traduca in legge. Della «fenomenale» politica espansiva di Trump, ancora non si vede infatti nulla. Eppure - secondo i calcoli di Pictet Am - Wall Street sconta già in pieno il meglio che possa produrre. Prima che Trump venisse eletto, gli analisti si attendevano in media una crescita dei profitti a Wall Street nel 2017 dell’11% rispetto al 2016. Quando è stato eletto, gli analisti hanno calcolato che la sua politica fiscale potrebbe “regalare” al massimo tra i5 e i 10 punti percentuali di utili in più rispetto alle stime precedenti. Ebbene: i prezzi di Wall Street già incorporano la massima crescita degli utili possibile. Nella migliore delle ipotesi, Wall Street dovrebbe insomma avere finito la corsa.
Discorso simile sui Paesi emergenti. È vero che ce ne sono di dinamici. Ma è anche vero che la maggior parte di questi ha aziende molto indebitate in dollari: se i tassi Usa dovessero salire e il dollaro dovesse rafforzarsi ulteriormente (ultimamente si è preso una pausa), per gli emergenti qualche problema potrebbe arrivare. Ma in assenza di alternative gli investitori continuano a comprare, comprare, comprare. In fin dei conti, questo è il vero paradosso di un mercato troppo grosso, troppo pieno di liquidità e troppo dominato da investitori a benchmark e generalmente poco flessibili: rischia di produrre bolle per necessità, per mode o per assenza di alternative.