Sentiero stretto tra le nuove tensioni politiche e i paletti della Ue sul debito
Edunque aprire potenzialmente la strada a una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo. Probabilmente non sarà questo l’esito finale del confronto in atto da mesi tra Roma e Bruxelles: le motivazioni vanno ricercate in una sfera che attiene al delicato frangente politico/elettorale in corso in Europa, con Olanda, Francia, Germania (e probabilmente Italia) chiamate quest’anno al voto. Non per questo il Governo potrà esimersi dall’indicare quanto meno la rotta. E dovrà farlo in fretta con due passaggi che paiono ineludibili: il varo della correzione da 3,4 miliardi chiesta dalla Commissione (il tempo stringe e Bruxelles attende segnali precisi), e la presentazione a metà aprile del prossimo Documento di economia e finanza. Un sentiero stretto, che si è fatto ancor più angusto dopo l’esito dell’assemblea del Pd, con gli effetti che finirà per avere sulla tenuta (e dunque sulla durata) del Governo. È la stessa preoccupazione che emerge a Bruxelles: la correzione dello 0,2% del Pil resta tale (il riferimento è al deficit strutturale che si calcola sul Pil potenziale) ma rischia di non avere il necessario sostegno parlamentare. E poi quali impegni concreti sulla riduzione del debito potrà assumere il governo Gentiloni con il prossimo Def, se poi sarà un altro esecutivo (e un’altra maggioranza) ad assumersi l’onere delle relative decisioni? La Commissione Ue potrà prendere tempo, ma alla fine il problema riemergerà in tutta la sua evidenza. Per questo, la strada che pare più logica e opportuna è che con la manovra bis e poi con il Def si indichi comunque un tragitto (che possa essere in buona parte “vincolante” per qualsivoglia governo verrà dopo il voto), indicando al tempo stesso le diverse “subordinate” (che attengono a scelte politiche ora difficilmente prevedibili). In poche parole, che il debito vada ridotto è condizione assoluta e imprescindibile per evitare nuove crisi dello spread come quella del 2011. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, anche ieri in occasione dell’Eurogruppo, si è confrontato con il commissario agli Affari monetari, Pierre Moscovici e non sembrano esservi elementi di sostanziale novità rispetto al timing tracciato dalla Commissione. Si possono (e per certi versi si devono) invocare i fattori rilevanti che comunque interagiscono in direzione della sostenibilità del debito (le riforme delle pensioni varate negli ultimi decenni, la consistenza del risparmio privato e l’avanzo primario). Non per questo ci si potrà esimere da un impegno formale che confermi il percorso di riduzione del debito da quest’anno rispetto al 132,8% del 2016, e per gli anni a venire
PASSAGGI INELUDIBILI Il varo della correzione dei conti chiesta dalla Commissione e la presentazione a metà aprile del Def
attraverso un mix di misure strutturali per spingere la crescita, contenimento della spesa corrente primaria e privatizzazioni, nell’aspettativa che riparta un po’ di inflazione. La linea dell’Economia è che il debito si è stabilizzato nel 2016 in rapporto al Pil, e che nell’anno in corso si raggiungerà il 132 per cento, al netto dei 20 miliardi diretti al sostegno del sistema bancario. Nel Def occorrerà poi indicare come far fronte ai circa 19,6 miliardi che il Governo dovrà reperire, se si vorrà evitare che dal 2018 scattino le clausole di salvaguardia con il loro carico di aumenti dell’Iva e delle accise.