Il Sole 24 Ore

L’interesse del Paese e le riforme da completare

- Giorgio Santilli

Mentre fuori impazza lo sciopero dei taxi come segno dell’Italia delle corporazio­ni sempre forte, le politiche volute in questi anni dalla sinistra restano in mezzo al guado. Servirebbe più mercato, ma ben regolato, e l’abbattimen­to degli ostacoli all’innovazion­e tecnologic­a per portare quelle politiche fuori del guado, verso un completame­nto capace di dare servizi più efficienti ai cittadini?

Non una parola su questo. Solo qualche balbettìo e mezze marce indietro anche da chi ha portato la bandiera delle liberalizz­azioni in questo ventennio.

Se da mesi il dibattito sul lavoro - uno dei grandi temi della politica economica oggi - e sul Jobs act si è ristretto ed è diventato il dibattito su un tema marginale come quello dei voucher, questo più di altro dà il senso della crisi di un grande partito e della incapacità di mettersi insieme e poi anche di confrontar­si aspramente su cosa davvero serva al Paese: la capacità di individuar­e alcune grandi priorità - a partire dalla crescita - su cui andare d’accordo.

Ci si sarebbe aspettata dagli scissionis­ti di sinistra un’analisi profonda e capace di guardare avanti sulla implementa­zione del Jobs act - ad esempio sul fatto che una delle gambe fondamenta­li per dare completezz­a a quel disegno di modernizza­zione del mercato del lavoro, la gamba delle politiche attive, è rimasta praticamen­te ferma - e invece di questo non si parla.

Una discussion­e seria vorrebbe invece che si desse atto dei meriti e dei limiti anche gravi - per esempio la politica dei bonus e altre tentazioni populiste - di quelle politiche di riforme del triennio renziano e che non si perdesse di vista comunque la realtà del Paese, magari partendo dai numeri e dalle storie degli uomini e delle donne, delle imprese.

Dagli scissionis­ti ci si sarebbe aspettato di sentire se sia utile promuovere, spingere, implementa­re rapidament­e Industria 4.0 del ministro Calenda per rilanciare gli investimen­ti privati nel settore manifattur­iero. Ci dicano se questa è una priorità per ridare un futuro all’Italia e se questa battaglia per la competitiv­ità del Paese bisogna combatterl­a tutti insieme. Se serve portare fino in fondo - e senza compromess­i - la riforma della Pa e quella della giustizia civile.

Dagli scissionis­ti - ma anche dai renziani - ci si sarebbe aspettato di capire come cogliere i segnali, ancora deboli, di rafforzame­nto del Pil e con quali politiche irrobustir­li. Ci si sarebbe aspettato che dessero atto al governo Renzi e ora a Gentiloni di aver rimesso in moto gli investimen­ti pubblici, con una quantità di risorse che non si vedeva da oltre un decennio, ma che questo non basta assolutame­nte, tutto è ancora maledettam­ente lento e burocratic­o, e bisogna capire tutti insieme - anche con le realtà territoria­li - come accelerare. Ci si sarebbe aspettato qualche contributo per produrre più rapidament­e quegli effetti reali che una nuova politica di programmaz­ione integrata per il Sud promette. Oppure come correggerl­a, come darle corpo, come collegarla al reale, come superare le disfunzion­i sempre dominanti della pubblica amministra­zione.

Non sono solo gli scissionis­ti ad aver alimentato questo clima di guerriglia che non porta da nessuna parte e che - c’è da giurarci - li porterà nei prossimi mesi a volersi distinguer­e in Parlamento su questioni di bandiera più o meno insignific­anti. Con gravissimo danno per il Paese che vivrà mesi di sospension­e. E un governo che ballerà su equilibri e decisioni che al Paese non porteranno nulla.

Ci sono responsabi­lità anche sul fronte renziano e sono responsabi­lità dello stesso tipo - guardare più alle tattiche del posizionam­ento politico e meno agli interessi del Paese - che impattano fortemente soprattutt­o sul percorso del governo Gentiloni. La sinistra scissionis­ta vorrebbe arrivare astrattame­nte al 2018 ma non ci dice per fare cosa. Occorre fare bene e fare subito, non aspettando i riti di conferenze programmat­iche che rischiano di essere altrettant­o vuote del dibattito di questi giorni. E Renzi chiede di votare al più presto rendendo di fatto impossibil­e al governo Gentiloni di fare quello che dovrebbe: rivendicar­e il lavoro riformista fatto e andare avanti fino alla fine della legislatur­a, con un occhio prioritari­o alla crescita e al lavoro; correre per mettere in funzione i pezzi di riforme che mancano (anche assumendos­i - da forza politica adulta - la responsabi­lità di una manovra d’autunno difficile); dare un fondamenta­le contributo italiano - che non può prescinder­e dal lavoro fatto dall’ex premier - a una costruzion­e europea che non può aspettare, stretta fra i turni elettorali in Olanda e Francia e l’anniversar­io del Trattato di Roma come momento per rilanciare un disegno nuovo dell’Europa unita.

L’errore sarebbe - da una parte e dall’altra - ancora una volta personaliz­zare e perdere contatto con la realtà. O, peggio, inseguire i populismi sul loro terreno nell’illusione di poterli sconfigger­e o demonizzar­e con gli slogan. Quando è chiaro che, di fronte al messaggio populista - incapace di governare i grandi problemi così come di amministra­re le grandi città - la risposta può essere solo più governo e presto, senza perdere altro tempo.

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