Il piano inclinato tra frammentazione politica e fragilità finanziaria
Il terremoto nel Pd e la scissione annunciata – ma ancora non formalizzata – ha una serie di reazioni a catena che non valgono solo per la legislatura in corso ma soprattutto per quella che verrà. Raccontano che al Quirinale la preoccupazione non sia solo e tanto per il voto anticipato – che molti danno ormai per scontato – ma per il combinato disposto tra frammentazione politica e legge elettorale proporzionale e per gli effetti che produrrà il giorno dopo le nuove elezioni. Dopo la rottura nel Pd, con un centro-destra ugualmente frammentato e fatto di piccoli partitini, appare davvero difficile che ci possa essere una correzione in senso maggioritario della legge che è uscita dalla sentenza della Consulta. Inoltre, a Renzi con l’uscita della sinistra, conviene mantenerla com’è, con una soglia di sbarramento alta al Senato – l’8% - che è lo stesso interesse che ha Berlusconi insieme alle liste bloccate.
Insomma, la prima vittima di questo stato di fatto è la tanto evocata nuova legge elettorale che – a oggi - non trova più le condizioni parlamentari per un accordo politico finalizzato a garantire la governabilità. Si andrà avanti con le regole scritte dai giudici costituzionali che non lasciano intravvedere maggioranze stabili ed è qui che si apre il grande rebus del “dopo”. Quando sia l’ora X del voto anticipato nessuno sa dirlo anche perché c'è una variabile. Che riguarda, anco- ra una volta il Pd e il suo congresso. Ieri si è costituita una nuova corrente nel partito che nasce per sostituire la sinistra-scissionista: di quest’area fanno parte Andrea Orlando, Gianni Cuperlo e Cesare Damiano. Bene, se Orlando deciderà di competere alle primarie con Renzi i tempi congressuali si allungheranno fino a maggio e quindi non si andrà al voto prima della fine di settembre. Se invece resterà in gara solo il segretario dimissionario allora potrebbe riaprirsi la finestra di giugno per le elezioni anticipate.
Ma, di nuovo, non è più questa scadenza a creare il maggiore allarme quanto l’incerta stabilità del dopo voto che si sommerà a un periodo estremamente delicato dal punto di vista dei conti pubblici in un crescendo di tappe fino alla fine dell’anno quando il Qe allenterà la sua presa con un effetto sui titoli di Stato che espone l’Italia a una nuova crisi dello spread. Ammesso che i primi segnali non ci siano anche prima, durante la via crucis che comincia già domani quando la Commissione Ue pubblicherà il rapporto sul debito pubblico italiano. Anche se non ci sarà l’apertura di una procedura d'infrazione, il Governo dovrà presentare prima la manovra correttiva e poi – a metà aprile - il Def, il documento nel quale dovrà delineare gli impegni concreti per la riduzione del debito e per evitare che scattino gli aumenti dell’Iva e delle accise per 19,6 miliardi. Misure che poi andranno scritte nella legge di stabilità. Si, ma da quale Governo? Quello in carica appare in dissolvenza dopo la rottura nel Pd, troppo fragile per scrivere un testo “politico” come la manovra economica. Sarà il Governo del dopo-voto? È questa la domanda che preoccupa: se sarà possibile formare un Esecutivo stabile vista la frammentazione dei partiti e una legge proporzionale. Il rischio è un piano inclinato dove la fragilità politica si somma a quella finanziaria.