Cosa succede se salta il Nafta
Con il Trattato vigente, Washington esporta merci per 240 miliardi di dollari l’anno
Il Messico non sfugge agli stereotipi di cui è ammantata l’America Latina. Utopia e inferno. L’utopia si rivela per la bellezza dei Paesi e per la libertà. L’inferno fa riferimento ai militari, ai narcos, alle dittature, ai populismi.
Stavolta però il populismo arriva da fuori, da quell’America del Nord sognata e anelata che istilla ai connazionali germi di paura e rigetto nei confronti dei vicini. I messicani, appunto.
L’orgoglio messicano resiste bene alle esternazioni di Donald Trump, almeno a giudicare dalla reazione nazionalistica degli ultimi giorni. La bandiera del Messico vive una stagione di grande visibilità nei social network a sud del Rio Bravo. Ma quale sarà la reazione alla Trumpnomics?
La tesi di Trump è questa. Il Messico vende agli Stati Uniti più di quanto gli Stati Uniti vendano al Messico: nel 2015 c’è stato un gap di 58miliardi di dollari. È solo lo 0,3% del Pil americano ma ciò può bastare – sostiene Mr.Trump – per riscrivere il Nafta (North american free trade agreement), l’accordo di libero scambio delle Americhe.
Il Nafta, va ricordato, consente agli Stati Uniti di esportare merci per 240miliardi di dollari all’anno. L’applicazione di dazi potrebbe infliggere un colpo durissimo sia agli imprenditori sia ai consumatori americani.
Alcuni Stati americani, tra questi Texas, Iowa, Idaho, con l’abolizione del Nafta patirebbero un sensibile aumento delle tasse sull’export. I dazi su malto, patate e altri prodotti agricoli, Idaho salirebbero del 15%, mentre i beni di esportati da Iowa e Nebraska aumenterebbero del 12,5 per cento.
Il Texas patirebbe dazi meno alti, sempre in caso di abolizione del Nafta: l’aumento sarebbe del 3 per cento. Tuttavia il danno potrebbe essere paradossalmente maggiore dato che il Texas esporta verso il Messico il 6% del suo Pil, molto più della media nazionale americana , pari all’1,3% del Pil.
Le catene globali del valore
L’imperativo di Trump - introdurre dazi e tariffe sui prodotti messicani – pare anacronistico anche da un punto di vista teorico. Le catene globali del valore hanno infatti mo- dificato la natura del commercio internazionale rispetto alla visione “classica”.
Un’analisi di Carlo Altomonte e Italo Colantone, entrambi docenti all'Università Bocconi, spiega perché: i dati rivelano che, guardando al Messico, vi è una quota del suo export verso gli Usa che riflette valore aggiunto estero prodotto al di fuori del Messico. Vi è poi una quota di valore aggiunto domestico messicano che transita puramente dagli Stati Uniti per essere poi ri-esportato verso il resto del mondo, senza dunque essere “assorbito” dai consumatori statunitensi.
In altre parole, i due economisti Altomonte e Colantone, ne “Lavoce.info”si chie- dono: «Ha ancora senso, nel 2017, concentrarsi sui deficit commerciali bilaterali? Ossia, in questo caso, sulla differenza tra i mportazioni ed esportazioni tra gli Usa e singoli paesi terzi?» La risposta è no. Il motivo è legato al fatto che oggi il commercio internazionale riflette la frammentazione dei processi produttivi tra paesi attraverso le catene globali del valore. Ciò implica che i beni i ntermedi possano passare più volte da un paese all’altro, nel corso del processo produttivo, prima che il bene finale venga ultimato, per essere poi eventualmente esportato altrove.
In altre parole non tutto ciò che gli Stati Uniti importano dal Messico riflette valore aggiunto messicano. Al contrario, parte del flusso di import riflette valore aggiunto statunitense, nella fattispecie beni intermedi americani che vengono prima esportati i n Messico per essere processati e poi tornano negli Usa. Inoltre non tutto ciò che gli Stati Uniti importano dal Messico resta nel Paese: parte dei beni intermedi importati finisce in prodotti finali che le imprese americane esportano, con successo, nel resto del mondo.
Alla luce di ciò, un deficit commerciale degli Usa con il Messico potrebbe essere visto come un fattore di competitività internazionale per gli Stati Uniti, in quanto permetterebbe loro di beneficiare di bassi costi in Messico per esportare di più verso il resto del mondo.
Insomma, è alla bilancia commerciale complessiva di un paese che bisogna guardare, più che ai singoli saldi bilaterali.
LO STUDIO DELLA BOCCONI L’analisi dei flussi commerciali non può limitarsi ai saldi tra due Paesi, ma deve considerare la bilancia totale