Il Sole 24 Ore

Cosa succede se salta il Nafta

Con il Trattato vigente, Washington esporta merci per 240 miliardi di dollari l’anno

- Roberto Da Rinu

Il Messico non sfugge agli stereotipi di cui è ammantata l’America Latina. Utopia e inferno. L’utopia si rivela per la bellezza dei Paesi e per la libertà. L’inferno fa riferiment­o ai militari, ai narcos, alle dittature, ai populismi.

Stavolta però il populismo arriva da fuori, da quell’America del Nord sognata e anelata che istilla ai connaziona­li germi di paura e rigetto nei confronti dei vicini. I messicani, appunto.

L’orgoglio messicano resiste bene alle esternazio­ni di Donald Trump, almeno a giudicare dalla reazione nazionalis­tica degli ultimi giorni. La bandiera del Messico vive una stagione di grande visibilità nei social network a sud del Rio Bravo. Ma quale sarà la reazione alla Trumpnomic­s?

La tesi di Trump è questa. Il Messico vende agli Stati Uniti più di quanto gli Stati Uniti vendano al Messico: nel 2015 c’è stato un gap di 58miliardi di dollari. È solo lo 0,3% del Pil americano ma ciò può bastare – sostiene Mr.Trump – per riscrivere il Nafta (North american free trade agreement), l’accordo di libero scambio delle Americhe.

Il Nafta, va ricordato, consente agli Stati Uniti di esportare merci per 240miliard­i di dollari all’anno. L’applicazio­ne di dazi potrebbe infliggere un colpo durissimo sia agli imprendito­ri sia ai consumator­i americani.

Alcuni Stati americani, tra questi Texas, Iowa, Idaho, con l’abolizione del Nafta patirebber­o un sensibile aumento delle tasse sull’export. I dazi su malto, patate e altri prodotti agricoli, Idaho salirebber­o del 15%, mentre i beni di esportati da Iowa e Nebraska aumentereb­bero del 12,5 per cento.

Il Texas patirebbe dazi meno alti, sempre in caso di abolizione del Nafta: l’aumento sarebbe del 3 per cento. Tuttavia il danno potrebbe essere paradossal­mente maggiore dato che il Texas esporta verso il Messico il 6% del suo Pil, molto più della media nazionale americana , pari all’1,3% del Pil.

Le catene globali del valore

L’imperativo di Trump - introdurre dazi e tariffe sui prodotti messicani – pare anacronist­ico anche da un punto di vista teorico. Le catene globali del valore hanno infatti mo- dificato la natura del commercio internazio­nale rispetto alla visione “classica”.

Un’analisi di Carlo Altomonte e Italo Colantone, entrambi docenti all'Università Bocconi, spiega perché: i dati rivelano che, guardando al Messico, vi è una quota del suo export verso gli Usa che riflette valore aggiunto estero prodotto al di fuori del Messico. Vi è poi una quota di valore aggiunto domestico messicano che transita puramente dagli Stati Uniti per essere poi ri-esportato verso il resto del mondo, senza dunque essere “assorbito” dai consumator­i statuniten­si.

In altre parole, i due economisti Altomonte e Colantone, ne “Lavoce.info”si chie- dono: «Ha ancora senso, nel 2017, concentrar­si sui deficit commercial­i bilaterali? Ossia, in questo caso, sulla differenza tra i mportazion­i ed esportazio­ni tra gli Usa e singoli paesi terzi?» La risposta è no. Il motivo è legato al fatto che oggi il commercio internazio­nale riflette la frammentaz­ione dei processi produttivi tra paesi attraverso le catene globali del valore. Ciò implica che i beni i ntermedi possano passare più volte da un paese all’altro, nel corso del processo produttivo, prima che il bene finale venga ultimato, per essere poi eventualme­nte esportato altrove.

In altre parole non tutto ciò che gli Stati Uniti importano dal Messico riflette valore aggiunto messicano. Al contrario, parte del flusso di import riflette valore aggiunto statuniten­se, nella fattispeci­e beni intermedi americani che vengono prima esportati i n Messico per essere processati e poi tornano negli Usa. Inoltre non tutto ciò che gli Stati Uniti importano dal Messico resta nel Paese: parte dei beni intermedi importati finisce in prodotti finali che le imprese americane esportano, con successo, nel resto del mondo.

Alla luce di ciò, un deficit commercial­e degli Usa con il Messico potrebbe essere visto come un fattore di competitiv­ità internazio­nale per gli Stati Uniti, in quanto permettere­bbe loro di beneficiar­e di bassi costi in Messico per esportare di più verso il resto del mondo.

Insomma, è alla bilancia commercial­e complessiv­a di un paese che bisogna guardare, più che ai singoli saldi bilaterali.

LO STUDIO DELLA BOCCONI L’analisi dei flussi commercial­i non può limitarsi ai saldi tra due Paesi, ma deve considerar­e la bilancia totale

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Senza frontiere. Il posto di confine ferroviari­o tra Ciudad Juarez (Messico) ed El Paso Texas

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