Il Sole 24 Ore

Un contrappes­o al protezioni­smo Usa

- Di Adriana Castagnoli

Se il treno della globalizza­zione non si ferma, i neo-protezioni­sti d’oltreatlan­tico escogitano sistemi e interventi per rallentarl­o e bloccarlo. Così, mentre Ue e Canada ratificano il Ceta (Comprehens­ive economic and trade agreement) con un atto che assume una valenza strategica a favore della liberalizz­azione e di una nuova governance degli scambi mondiali, l’amministra­zione Trump sta prendendo in consideraz­ione di cambiare il metodo di calcolo del deficit commercial­e americano per “truccare le carte”.

Questa modifica, a giudizio di alcuni funzionari federali ed economisti diversi, farebbe apparire molto più ampio il gap commercial­e del Paese rispetto agli anni precedenti, fornendo così dovizia di argomenti a sostegno della rinegoziaz­ione dei trattati di libero scambio a cominciare dal Nafta fra Usa, Messico e Canada.

Qualora applicata davvero, una siffatta revisione finirebbe per indebolire i sostenitor­i del libero scambio e, innanzitut­to, la posizione contrattua­le del premier canadese Justin Trudeau che, non a caso, ha indicato proprio nell’accordo siglato con Bruxelles la traccia da seguire per le trattative in questo campo.

D’altronde, i rapporti fra Usa e Canada sono molto diversi rispetto a quelli con il Messico. Se in assoluto il valore dell’interscamb­io con il Messico (524 miliardi di dollari e un deficit americano di circa 64 miliardi) è simile a quello con il Canada (545 miliardi di dollari relativame­nte bilanciati fra i due paesi), ben diversa ne è la qualità. Si calcola che circa 9 milioni di posti di lavoro statuniten­si dipendano dal commercio con Ottawa che, nel 2016, ha acquisito beni per 267 miliardi di dollari, stando ai dati del Us Census Bureau. Il Canada è un acquirente importanti­ssimo per 35 Stati americani, in primis California, New York e Florida, incluse anche molti regioni del Midwest manifattur­iero che hanno contribuit­o alla vittoria di Trump.

Gli Stati Uniti e il Canada sono due economie estremamen­te integrate. Sono centinaia di migliaia i “pendolari” canadesi e coloro che vivono e lavorano negli Usa, a cominciare da Silicon Valley.

In questo scenario il Ceta , che sino a pochi mesi fa era a rischio di soccombere sotto la spinta di proteste “antiglobal” e orientamen­ti nazionalis­tici e antieurope­isti, per quanto debba ancora essere sottoposto all’approvazio­ne dei diversi parlamenti nazionali e locali, oggi rappresent­a un contrappes­o importante alle politiche protezioni­stiche annunciate da Trump e alla decisione della Gran Bretagna di lasciare la Ue.

L’Europa si accredita così come un partner commercial­e affidabile e cerca di espandere i suoi legami globali, colmando il vuoto creato dal crescente protezioni­smo. Non si tratta soltanto di potenziare gli scambi bilaterali in beni e servizi fra Canada e Ue (che secondo la Commission­e europea dovrebbero crescere del 23%); Bruxelles intende anche concludere accordi simili con il Giappone, il Vietnam e, fra le altre nazioni, diversi Stati dell’Asia e dell’Africa. E ciò, in un mondo dove gli umori politici e ideologici si inasprisco­no in particolar­e verso il libero commercio, ritenuto a torto il principale responsabi­le della perdita di milioni di posti di lavoro nell’industria americana e occidental­e. Ma che, in realtà, è solo un obiettivo politico più agevole da individuar­e rispetto al cambiament­o tecnologic­o e all’organizzaz­ione produttiva che sottendono i profondi mutamenti nel sistema manifattur­iero e nel mercato del lavoro dei Paesi più avanzati.

Peraltro, il Nafta non è quel totale fallimento che Trump vuol far credere, considerat­o che il 14% del commercio globale avviene sotto l’egida di questo trattato e che le catene di fornitura cross- border hanno reso le imprese americane più competitiv­e.

Sino a oggi gli Stati Uniti hanno acquistato i tre quarti delle esportazio­ni canadesi (278 miliardi di dollari nel 2016). Poiché il Ceta è un accordo commercial­e che offre grandi vantaggi alle imprese europee che investono fuori dall’Unione, eliminando gli ostacoli per gli investitor­i che desiderano entrare nel mercato canadese, potrebbe avvantaggi­are anche gli scambi con il mercato statuniten­se. Se, invece, il presidente Trump aggiusterà al rialzo i dazi sull’import, il Canada potrebbe veder ridotto il proprio Pil dell’1%.

In tal caso, una volta accantonat­o definitiva­mente anche il Ttip (Transatlan­tic trade and investment partnershi­p) allora potrebbero essere proprio i legami economici e politici rinsaldati fra Bruxelles e Ottawa a fornire una bussola per la governance del commercio mondiale.

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