Un contrappeso al protezionismo Usa
Se il treno della globalizzazione non si ferma, i neo-protezionisti d’oltreatlantico escogitano sistemi e interventi per rallentarlo e bloccarlo. Così, mentre Ue e Canada ratificano il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement) con un atto che assume una valenza strategica a favore della liberalizzazione e di una nuova governance degli scambi mondiali, l’amministrazione Trump sta prendendo in considerazione di cambiare il metodo di calcolo del deficit commerciale americano per “truccare le carte”.
Questa modifica, a giudizio di alcuni funzionari federali ed economisti diversi, farebbe apparire molto più ampio il gap commerciale del Paese rispetto agli anni precedenti, fornendo così dovizia di argomenti a sostegno della rinegoziazione dei trattati di libero scambio a cominciare dal Nafta fra Usa, Messico e Canada.
Qualora applicata davvero, una siffatta revisione finirebbe per indebolire i sostenitori del libero scambio e, innanzitutto, la posizione contrattuale del premier canadese Justin Trudeau che, non a caso, ha indicato proprio nell’accordo siglato con Bruxelles la traccia da seguire per le trattative in questo campo.
D’altronde, i rapporti fra Usa e Canada sono molto diversi rispetto a quelli con il Messico. Se in assoluto il valore dell’interscambio con il Messico (524 miliardi di dollari e un deficit americano di circa 64 miliardi) è simile a quello con il Canada (545 miliardi di dollari relativamente bilanciati fra i due paesi), ben diversa ne è la qualità. Si calcola che circa 9 milioni di posti di lavoro statunitensi dipendano dal commercio con Ottawa che, nel 2016, ha acquisito beni per 267 miliardi di dollari, stando ai dati del Us Census Bureau. Il Canada è un acquirente importantissimo per 35 Stati americani, in primis California, New York e Florida, incluse anche molti regioni del Midwest manifatturiero che hanno contribuito alla vittoria di Trump.
Gli Stati Uniti e il Canada sono due economie estremamente integrate. Sono centinaia di migliaia i “pendolari” canadesi e coloro che vivono e lavorano negli Usa, a cominciare da Silicon Valley.
In questo scenario il Ceta , che sino a pochi mesi fa era a rischio di soccombere sotto la spinta di proteste “antiglobal” e orientamenti nazionalistici e antieuropeisti, per quanto debba ancora essere sottoposto all’approvazione dei diversi parlamenti nazionali e locali, oggi rappresenta un contrappeso importante alle politiche protezionistiche annunciate da Trump e alla decisione della Gran Bretagna di lasciare la Ue.
L’Europa si accredita così come un partner commerciale affidabile e cerca di espandere i suoi legami globali, colmando il vuoto creato dal crescente protezionismo. Non si tratta soltanto di potenziare gli scambi bilaterali in beni e servizi fra Canada e Ue (che secondo la Commissione europea dovrebbero crescere del 23%); Bruxelles intende anche concludere accordi simili con il Giappone, il Vietnam e, fra le altre nazioni, diversi Stati dell’Asia e dell’Africa. E ciò, in un mondo dove gli umori politici e ideologici si inaspriscono in particolare verso il libero commercio, ritenuto a torto il principale responsabile della perdita di milioni di posti di lavoro nell’industria americana e occidentale. Ma che, in realtà, è solo un obiettivo politico più agevole da individuare rispetto al cambiamento tecnologico e all’organizzazione produttiva che sottendono i profondi mutamenti nel sistema manifatturiero e nel mercato del lavoro dei Paesi più avanzati.
Peraltro, il Nafta non è quel totale fallimento che Trump vuol far credere, considerato che il 14% del commercio globale avviene sotto l’egida di questo trattato e che le catene di fornitura cross- border hanno reso le imprese americane più competitive.
Sino a oggi gli Stati Uniti hanno acquistato i tre quarti delle esportazioni canadesi (278 miliardi di dollari nel 2016). Poiché il Ceta è un accordo commerciale che offre grandi vantaggi alle imprese europee che investono fuori dall’Unione, eliminando gli ostacoli per gli investitori che desiderano entrare nel mercato canadese, potrebbe avvantaggiare anche gli scambi con il mercato statunitense. Se, invece, il presidente Trump aggiusterà al rialzo i dazi sull’import, il Canada potrebbe veder ridotto il proprio Pil dell’1%.
In tal caso, una volta accantonato definitivamente anche il Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) allora potrebbero essere proprio i legami economici e politici rinsaldati fra Bruxelles e Ottawa a fornire una bussola per la governance del commercio mondiale.