La strana idea di tassare i robot
Fa discutere la proposta di Bill Gates di imposte sui profitti generati dagli automi
Che fossero queste le intenzioni del cofondatore di Microsoft Bill Gates pare poco credibile. «Al momento – ha risposto il magnate americano in una intervista concessa al sito d’informazione Quartz – se un lavoratore umano guadagna 50mila dollari lavorando in una fabbrica, il suo reddito è tassato. Se un robot svolge lo stesso lavoro dovrebbe essere tassato allo stesso livello».
La battuta è stata ripresa dai media internazionali che hanno interpretato le parole di Gates come la richiesta di una tassazione sulle macchine. Di questi tempi il concetto è verosimile. E l’equazione sociale non fa una grinza. Eppure, nasce da postulati ancora piuttosto confusi che vedono una progressiva, drammatica e ineluttabile sostituzione di arti e mestieri in omaggio alla maggiore produttività dei robot animati di intelligenza artificiale. Quando è uscito lo studio di Carl Benedikt Frey e Michael Osborne della Oxford University del 2013 si è temuto al peggio. Il 47% di posti di lavoro sarebbe a rischio negli Usa. La previsione è stata convalidata da un rapporto della Banca mondiale del 2016. A gettare acqua sul fuoco è arrivato un paper dal titolo “Il rischio dell’automazione per gli impieghi nei Paesi Ocse: un’ana- lisi comparativa”: nelle conclusioni della ricerca, portata a compimento dagli analisti tedeschi dello Zew di Mannheim, il Centro per la Ricerca economica europea, si mette in evidenza come solo il 9% degli attuali impieghi in 21 Paesi del mondo sia potenzialmente destinato a essere svolto in futuro da macchine automatizzate o da robot. Secondo uno studio della società di consulenza McKinsey che è entrata nello specifico dei lavori, meno del 5% delle occupazioni attuali sono candidate a una completa automazione usando «l’attuale tecnologia». Guardando avanti, però, il 45% delle attività per cui la gente è retribuita può essere automatizzata usando «tecnologie già sperimentate». E solo una certa parte di lavoro fisico, definita «prevedibile», in base alla discriminante della sola fattibilità tecnologica ha un alto potenziale di automatizzazione: il 78%.
Questo vale per attività di natura manuale, ma le cose cambiano già con compiti meno “prevedibili” e più articolati. Per andare più nel concreto, settori come la finanza, la sanità, il commercio sono settori che usciranno cambiati, trasformati da Big Data, intelligenza artificiale e processi di automazione. Questo alimenterà la nascita (sta già accadendo) di nuove figure professionali come quella dei Data scientist assolutamente trasversali. La sfida è ancora quella legata all’educazione. Più sale il livello di scolarizzazione e di complessità delle mansioni lavorative, minore è il rischio che queste possano venire appaltate a macchine intelligenti. Ma l’automazione renderà più interessante la ricerca di figure professionali in grado di dialogare e porre domande ai robot. Sopratutto nella sanità dove i computer potranno accedere al servizio del medico, analizzare gli ultimi paper scientifici e incrociare i sintomi con gli studi epidemiologici.
Il dibattito però non interessa solo l’altra sponda dell’Atlantico. In Europa, dove siamo, come dire, più attenti alle regole e al diritto in fatto di tecnologie il Parlamento europeo si è mosso per chiedere norme sui robot, spingendosi nelle primissime bozze circolate a ipotizzare una personalità giuridica, un reddito di cittadinanza, la responsabilità per le auto senza conducenti.
La risoluzione è passata giovedì scorso con 396 voti a favore, 123 contrari e 85 astensioni grazie alla battaglia di sensibilizzazione della socialista lussemburghese Mady Delvaux. Il documento prevede due orizzonti temporali. Sul breve periodo, i deputati chiedono tre tutele: l’istituzione di un regime assicuratorio obbligatorio, dove si imponga a produttori e proprietari di robot di sottoscrivere una copertura per i danni provocati dai propri robot; la creazione di un fondo di risarcimento per la riparazione dei danni stessi; l’immatricolazione dei robot, con l’iscrizione in un registro specifico dell’Unione.
Sul lungo periodo, si torna a parlare del riconoscimento dello status giuridico dei robot: i robot autonomi più sofisticati devono essere considerati «persone elettroniche responsabili di risarcire qualsiasi danno da loro causato, nonché eventualmente il riconoscimento della personalità elettronica dei robot che prendono decisioni autonome o che interagiscono in modo indipendente con terzi». L’obiettivo è di definire con maggior chiarezza le responsabilità delle macchine e di chi le ha progettate, in sede civile e penale. Tra le proposte c’è l’istituzione di «un sostegno concreto per lo sviluppo delle competenze digitali in tutte le fasce di età e a prescindere dalla posizione lavorativa».
È stata invece stralciata la parte relativa a una sorta di reddito di cittadinanza pagato dai “robot” a favore dei lavoratori rimpiazzati dall’automazione e di una tassa sulla produzione dei robot. Entrambe le proposte sono state bocciate da destra e liberali. Pare invece essere passato uno dei classici della fantascienza legata ai robot: il bottone per la distruzione dell’automa. Da premere in caso di rivolta o di danni causati agli essere umani. Se qualcuno si sta domandando se sia il caso di scomodare le leggi della robotica di Isaac Asimov, ebbene sì. È il caso di rileggersi bene tutto.