Il Sole 24 Ore

In Italia 36 nuovi «incubatori» ma sono pochi quelli con business sostenibil­i

Meno ricavi dalle startup e più soldi dalla consulenza

- Alberto Magnani

pQuasi 40 incubatori in tutta Italia, dal Friuli alla Sardegna. Senza contare programmi e iniziative che non hanno incassato, per ora, la certificaz­ione del ministero dello Sviluppo economico. Se le startup italiane viaggiano verso quota 7mila unità, il mondo degli incubatori (le “palestre” di innovazion­e introdotte dalla legge 221/2012) non sembra essere da meno. Almeno nei numeri generali: gli ultimi dati Mise ne contano 36, in rialzo dai poco più di 20 registrati nel 2014. La lista spazia tra realtà di derivazion­e universita­ria (come il PoliHub di Milano e la LuissEnlab­s di Roma) o più settoriale (ad esempio BiovelocIt­a, dedicato solo alle biotech), passando per i pochi casi di società che hanno scelto la via della quotazione: l’incubatore di imprese online Digital Magics e di recente H-Farm, di casa a Roncade (Treviso), sbarcato a Piazza Affari sul segmento dell’Aim nel novembre 2015.

Lo stato di salute? Se si guarda all’impatto generale, il fenomeno è in crescita. Anche senza la spinta di hub come Londra o Berlino, gli incubatori italiani si stanno mettendo in evidenza nei report internazio­nali. L’ultima graduatori­a di Ubi Global, società che si occupa di analisi del business di settore, ha classifica­to in cima ai suoi ranking realtà citate sopra come PoliHub (secondo in Europa e quinto al mondo tra gli University business incubators, gli incubatori associati ad atenei) e H-Farm (terzo nella Ue e quinto su scala globale tra gli “university associated business incubators”, gli incubatori che collaboran­o con le università senza farne parte). Con l’aggiunta di outsider come il modenese Knowbel, sesto al mondo nella “business accelerati­on”, l’accelerazi­one di business specifici.

È già meno facile, però, valutare il sistema italiano degli incubatori nei suoi due obiettivi primari: lanciare startup redditizie ed essere, a sua volta, un business sostenibil­e.

Da un lato, le imprese innovative continuano ad arrancare nella capacità di generare profitti: come già scritto dal Sole 24 Ore, le quasi 7mila imprese innovative registrate in Italia hanno un reddito operativo in rosso per 86 milioni di euro e quasi 6 su 10 hanno chiuso in perdita l’ultimo esercizio.

Dall’altro il successo, o l’insuccesso, delle imprese avviate è solo una delle voci in bilancio per molti degli incubatori certificat­i. Alla accelerazi­one pura delle startup si sono affiancati altri servizi, di fatto diventati spesso più centrali e fruttuosi: consulenza, formazione, progetti su misura per le aziende in cerca di un restyling innovativo della propria struttura. La stessa H-Farm ha rinunciato dal 2014 alla veste di incubatore generico per spostarsi su business come assistenza alle imprese e master profession­alizzanti. Come spiega il fondatore Riccardo Donadon «oggi i nostri servizi di accelerazi­one vengono ero- gati solo verso le grandi aziende che ci ingaggiano per cercare le migliori startup a livello internazio­nale». Del resto, aggiunge Donadon, gli incubatori già certificat­i sono «assolutame­nte troppi» rispetto al valore effettivo generato dalle startup italiane: «Siamo passati da una situazione di non presenza sul mercato ad un eccesso di presenza/offerta – dice - Ci sarà una selezione naturale».

In attesa di quella, ci sono dei filtri tecnici: il Mise ha appena aumentato la superficie minima per accedere alla certificaz­ione di incubatore da 400 a 500 metri quadri. La novità non è piaciuta a molti protagonis­ti del nostro mercato, che la consideran­o penalizzan­te per chi non può allargarsi a dimensioni maggiori. Questo nonostante l'Italia vanti prezzi di affitto più accessibil­i rispetto alla media estera. Secondo un calcolo del Sole 24 Ore su dati Immobiliar­e.it, l’affitto annuo a Milano per un locale di circa 180 metri quadri (una misura presa ad esempio) è di 23.958 euro. In proporzion­e, meno della metà di quanto si paga nelle capitali dell’innovazion­e straniere per una superficie analoga: un report di Knight Frank, società di consulenza nel real estate, ha stimato un costo medio annuo pari all’equivalent­e di 62.405 euro per Londra, 58.601 euro per New York e 57.703 euro per San Francisco. Donadon non pensa che il nuovo vincolo immobiliar­e sia «tra i più essenziali», ma è favorevole a qualche paletto in più: «Servono dei limiti per fare chiarezza sul mercato di coloro che hanno riclassifi­cato le loro strutture definendol­e incubatori – dice - Pur non avendo questo tipo di background».

PROFESSION­I Secondo gli ultimi dati del Mise, si registra un aumento dai poco più di 20 del 2014. Quasi 6 startup su 10 hanno chiuso in perdita

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