Il debito e il disco rosso alle nuove privatizzazioni
L’Italia presenta “squilibri eccessivi”. Ed essendo un grande Paese gravato da un grandissimo debito ha “un’importanza sistemica” che può trasformarsi in una “sorgente di potenziale ricaduta per il resto dell’Eurozona”. Roma deve esserne consapevole, fino in fondo. E niente sconti o dilazioni: fate per cominciare la correzione di bilancio su cui vi siete impegnati (3,4 miliardi entro aprile), governate le emergenze e riprendete il cammino delle riforme. Altrimenti scatteranno le sanzioni: non solo a Bruxelles ma sui mercati, dove il maxi-debito, pari a circa il 133% in rapporto al Pil, va finanziato.
Il messaggio recapitato dalla Commissione europea all’Italia non è catalogabile come un richiamo tra i tanti cui ci ha abituato Bruxelles nelle partite a scacchi sugli zero-virgola e sulla flessibilità a geometria variabile che sfocia nel compromesso dove entrambi le parti possono dichiararsi soddisfatte.
Questo del febbraio 2017, a tre anni esatti dalla conquista di Palazzo Chigi da parte di Matteo Renzi, che tante speranze di cambiamento avrebbe poi acceso in Europa dopo la grande vittoria alle elezioni continentali, suona diversamente. E segnala uno stallo, economico e politico, che può avere conseguenze devastanti. Per cui quando ad esempio il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, parla di riduzione del debito (da quattro anni stabile sopra il 130% del Pil) come “interesse nazionale” e della necessità di “fare di più” non solo prova a rassicurare l’Europa per evitare una procedura d’infrazione per debito eccessivo che secondo il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, ci sarebbe già oggi.
Ma anche prova, il ministro del Governo Gentiloni, a rimettere il caso di un Paese che cresce meno degli altri ed è soffocato dall’alto debito pubblico sul piatto di un dibattito politico confuso quando non surreale. La Commissione chiede all’Italia la correzione da 3,4 miliardi, cifra che come notato da Beda Romano è inferiore al debito accumulato da due società municipali di Roma, l’Atac e l’Ama. Inutile fermarsi su questa richiesta il cui eventuale impatto recessivo è considerato praticamente nullo.
La posta in gioco è un’altra ed emerge con forza dall’analisi di Bruxelles: la produttività stagnante nel contesto dei crediti deteriorati e alta disoccupazione, concorrenza ancora insufficiente, corruzione che resta un problema serio (richiamati anche i termini di prescrizione dei processi), liberalizzazioni incompiute (in particolare quelle su servizi pubblici locali, trasporti e servizi professionali).
Di nuovo, torna così la constatazione che “fare impresa” in Italia è molto più difficile rispetto agli altri grandi Paesi europei. E soprattutto, ecco un altro messaggio-chiave, si spiega che sono state promosse molte riforme positive ma che l’impulso su questo terreno è poi rallentato dalla metà del 2016. Cioè da quando è iniziata la lunga campagna referendaria sfociata il 4 dicembre nella sconfitta di Renzi e nelle sue dimissioni da capo del governo.
Una campagna che ha condizionato come sappiamo la stesura della legge di bilancio 2017 e che di fatto si è allungata, come dimostrano le vicissitudini del Pd, anche oltre l’entrata in carica del governo Gentiloni, il cui raggio di azione è finito in un cono d’incertezza a dispetto dei molti problemi aperti, compresa la puntuale attivazione dei provvedimenti attuativi delle riforme già impostate o rimaste parzialmente incompiute, a partire da quelle della giustizia e delle politiche attive del lavoro. Per non dire del disinnesco delle clausole di salvaguardia fiscali che puntualmente, per oltre 19 miliardi, si ripresenteranno alla stesura della legge di bilancio 2018.
Il debito pubblico va abbassato? Le privatizzazioni sarebbero un modo per ridurlo e già il Governo Renzi aveva previsto per il 2017 dismissioni per lo 0,5% del Pil. Ma la questione è finita nel tritacarne identitario (ed elettoralistico) del partito che sostiene il Governo, un Pd che si riscopre proporzionalista e alla ricerca di nuovi orizzonti. E mentre l’ex premier Renzi vola in California, a Roma il presidente e “reggente” del Partito, Matteo Orfini, appoggia l’esecutivo Gentiloni ma fissa una nuova agenda governativa tra cui spicca il disco rosso alle privatizzazioni. Surreale ma neanche troppo, nel Paese in cui si è affermata “La democrazia distributiva” fondata sull’indebitamento, come da un bel saggio di Lo r e t o D i N u c c i d a p o c o e d i t o d a i l MM uu ll ii n o .