Il Sole 24 Ore

Se il Bund è come una polizza assicurati­va

- Di Walter Riolfi

Che qualcuno stia comperando Bund a due anni è un dato di fatto: il prezzo del titolo (o, meglio, del benchmark) è in pressoché costante ascesa da quasi nove anni, con una accelerazi­one verso metà 2011, in coincidenz­a con la crisi dei debiti sovrani in eurozona.

Difficile è invece dire chi stia acquistand­o quel titolo che, nel corso della seduta di ieri, ha visto il rendimento scendere al minimo storico: meno 0,91%. Nel mondo alla rovescia dei tassi negativi, chi compera il Bund paga un interesse e quando quel titolo viene emesso è come se il Tesoro tedesco, anziché indebitars­i, facesse una sorta di proficuo investimen­to. Chi lo acquista parrebbe invece un folle o, quanto meno, un autolesion­ista. In realtà le cose sono assai più complesse e, anzi, un bel po’ più contorte.

Comperano il Bund le tesorerie delle banche, i fondi d’investimen­to, quelli speculativ­i e soprattutt­o le banche centrali. In Europa, gli istituti di credito devono garantire quotidiana­mente la copertura delle loro passività a breve (i depositi, per esempio) con altrettant­e attività a breve (in teoria). Potrebbero mettersi in portafogli­o titoli a durata maggiore e con qualche reliquia di rendimento, come fanno parecchie banche italiane, che in tal modo sono però alquanto esposte sui titoli di Stato del nostro Paese. In alternativ­a, le banche possono depositare denaro presso la Deposit facility della Bce che, “remunerand­olo” a -0,40% fa perdere solo la metà del Bund. C’è qualche dubbio che ieri, a -0,9%, siano state le banche a comprare quel titolo.

Invece potrebbero essere stati dei fondi, in particolar­e quelli speculativ­i, specie se in portafogli­o hanno azioni (o bond governativ­i) dei Paesi a rischio, come Italia, Spagna e, da qualche tempo, persino Francia. Oppure potrebbero essere state le banche centrali a comprare Bund: e si mormora che quelle della Svizzera e della Repubblica Ceca siano state alquanto attive nei giorni scorsi nel far riserve in euro (ossia titoli in prevalenza tedeschi) per frenare l’apprezzame­nto delle loro valute. È lecito dubitare che l’abbiano fatto anche ieri inseguendo il rialzo dei prezzi.

Gli indiziati principali sono dunque i fondi e gli hedge fund che, a fronte di titoli azionari o obbligazio­nari italiani, spagnoli o francesi nei loro portafogli, acquistano Bund per mitigare il rischio Paese. Acquistare lo Schatz tedesco, anche a un rendimento negativo di -0,9% , equivale a pagare un premio, come si farebbe con una polizza assicurati­va. Si può dire che una nutrita fetta d’investitor­i sia da tempo abituata a valutare il rischio Paese controbila­nciandolo con una adeguata dose di sicuri titoli tedeschi. Non a caso c’è una correlazio­ne inversa tra Bund a 2 anni e il comparabil­e Btp che si manifesta tutte le volte in cui si riacutizza la percezione di un rischio per l’euro: vuoi per la traballant­e stabilità politica in Italia e vuoi, da qualche mese, per le prospettiv­e di una possibile affermazio­ne della destra in Francia. Questa correlazio­ne inversa tocca estremi ancor più elevati se la si applica ai titoli azionari del comparto bancario italiano: come era stato tra gennaio e febbraio del 2016, tra giugno e luglio, tra ottobre e novembre e di nuovo nell’ultimo mese.

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