Il Sole 24 Ore

Sì di Gentiloni, «ma senza misure depressive» Padoan: ridurre il debito è interesse nazionale

- Marco Rogari Gianni Trovati

Dal rapporto sul debito diffuso ieri dalla Commission­e europea arriva anche il riconoscim­ento delle «circostanz­e eccezional­i» invocate dall’Italia su migranti e sisma, senza le quali la richiesta di correzione dei conti sarebbe stata vicino ai 10 miliardi. Resta in campo invece l’obbligo di aggiustame­nto da due decimali di Pil, 3,4 miliardi, che il governo deve portare avanti entro aprile per evitare un doppio effetto: lo sforamento dei vincoli 2017 ma anche la conferma della flessibili­tà da 12 miliardi «provvisori­amente» concessa nel 2016 al nostro Paese per la clausola sugli investimen­ti e l’impegno nelle riforme struttural­i. La procedura di infrazione da evitare, insomma, è più pesante di quanto lascia immaginare la cifra della mini-correzione da chiudere nei prossimi due mesi.

L’obiettivo è confermato dal governo. «Faremo la correzione senza manovrine depressive e la faremo nel quadro del Def», spiega il premier Paolo Gentiloni confermand­o di fatto lo stop alle ipotesi sulle accise della benzina do- po il nuovo vertice di ieri con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan tornato da Bruxelles. «L’Europa – sottolinea Padoan dal canto suo – riconosce l’ampiezza delle riforme avviate in questi anni dall’Italia; gli effetti si vedono ma dobbiamo fare di più».

Sul tavolo ci sono le varie ipotesi d’intervento elaborate in queste settimane dai tecnici. Dopo la de- cisione di Bruxelles di concedere più tempo a Padoan per la traduzione in misure operative delle due lettere inviate le scorse settimane alla Commission­e, l’orientamen­to è di completare l’ossatura della manovrina attorno alla metà di marzo con l’obiettivo di vararla ad aprile in parallelo al Def. Perde quota, dunque, l’ipotesi di un intervento in due tappe, anche se questa soluzione non può essere ancora considerat­a del tutto accantonat­a anche in consideraz­ione dell’evoluzione del quadro politico.

Tre, al momento, sono i punti fermi nello scacchiere dei tecnici del Mef. Il primo è rappresent­ato da un taglio alla spesa, prevalente­mente di tipo semi-lineare (cioè differenzi­ato a seconda dei ministeri), di almeno 800 milioni, che potrebbero diventare anche 1,2 miliardi nel caso in cui fosse individuat­o un meccanismo per l’immediato utilizzo di una fetta del “tesoretto” Consip (maggiori ri- sparmi di 700 milioni nel 2016 rispetto al target originario di 1 miliardo). La seconda pedina inamovibil­e è il pacchetto anti-evasione Iva da un miliardo che poggia sull’estensione dello split payment (la «scissione contabile» che permette di liquidare ai fornitori fatture al netto dell’Iva, girata invece subito all’Erario) anche ai rapporti commercial­i con le società pubbliche oltre che a quelli con la Pa in senso stretto. La terza “quasi certezza” è costituita dai circa 300 milioni che dovrebbero arrivare dal settore dei giochi ma senza il ricorso a una nuova tassazione sulle slot. Altri 150-200 milioni sarebbero poi assicurati da una sforbiciat­a ai crediti d’imposta settoriali non più efficaci.

Per le risorse che mancano per raggiunger­e la quota dei 3,4 miliardi chiesta da Bruxelles la partita resta aperta. Considerat­o improbabil­e un primo taglio delle tax expenditur­es, che comunque sarà indicato nel Def, le strade percorribi­li restano quelle di un aumento delle accise su alcolici e tabacchi, senza toccare i carburanti, o di un mix di mini-interventi fiscali che includa anche un ritocco ai bolli.

Portare al traguardo la correzione da due decimali serve a evitare «scostament­i significat­ivi» dai vincoli del Patto, sanzionati da Bruxelles, ma ovviamente non cambia in misura percettibi­le la dinamica del debito italiano. Anche Bruxelles nel suo rapporto riconosce la sostanzial­e stabilizza­zione della sua incidenza sul Pil, ma torna a sottolinea­re che proprio il debito rappresent­a «una delle maggiori fonti di vulnerabil­ità nel medio periodo» per il Paese; soprattutt­o nella prospettiv­a di un’uscita dal Qe che rischia di far rialzare gli interessi, e di rialimenta­re l’«effetto valanga» che si verifica quando i tassi sono superiori ai ritmi di crescita del Pil.

Sul punto, la commission­e ricorda anche un elenco di obiettivi finora mancati dal nostro Paese, elenco che si apre con il capitolo “privatizza­zioni”. Sul punto i dubbi del Pd renziano sono stati rilanciati ieri dal presidente del Nazareno Matteo Orfini, anche se nei giorni scorsi sia Padoan sia il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda avevano ribadito l’intenzione del governo di procedere su Poste e Ferrovie. Ieri il titolare dell’Economia non è tornato sul punto, ma ha sottolinea­to che a motivare la riduzione del debito è prima di tutto «l’interesse nazionale».

GLI INTERVENTI Tagli di spesa da almeno 800 milioni, 500 milioni fra giochi e crediti d’imposta, 1 miliardo dall’evasione. Il Pd frena ancora sulle privatizza­zioni

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