Anche da Bankitalia sì alla manovra
L’indicazione della Commissione Ue, ieri, è stata perentoria: in mancanza di “quel” segnale di rientro in carreggiata sul versante dei conti pubblici, ovvero una manovra da 3,4 miliardi da realizzare entro aprile, l’Italia finirà sotto procedura d’infrazione per la regola del debito. Con il linguaggio felpato della moral suasion e una maggior condivisione delle finalità di sostegno alla crescita della politica economica messa in atto dal governo italiano, il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha spiegato il giorno prima in tv che sì, vale proprio la pena, di realizzare oggi un modesto intervento correttivo in corso d’anno, perché «nel medio termine, lo sviluppo economico non si fa con il debito pubblico». L’Italia non può permettersi di dimenticare che il livello e la dinamica del debito pubblico giocano un ruolo chiave per la fiducia degli interlocutori esterni nel nostro paese. Esistono dubbi che vanno dissipati sul nascere, se perfino i super ispettori del Fondo monetario (non solo le malevole “streghe” del mercato Dbrs, Moody's o Fitch)quando vengono in visita di aggiornamento sull’Italia, si informano, come prima domanda, sulla sostenibilità del debito nel nostro paese. Dopodiché, vi sono pur sempre molte buone carte da far valere: per esempio, una struttura solida della composizione del debito pubblico, la cui vita media è salita a 7,3 anni, con una quota di Bot scesa sotto il 6 per cento del totale dei titoli. E c’è ancora, in ogni caso, un avanzo primario strutturale che garantisce la salute della nostra finanza pubblica (come attesta anche l’indicatore di sostenibilità della Commissione Ue).
Però ci sono anche situazioni nelle quali continuiamo a farci del male da soli, direbbe Nanni Moretti. È il caso degli investimenti pubblici, ai quali tutti, sulle due sponde dell’Atlantico, riconoscono un ruolo essenziale per far ripartire la crescita.