Il Sole 24 Ore

Anche da Bankitalia sì alla manovra

- Di Rossella Bocciarell­i

L’indicazion­e della Commission­e Ue, ieri, è stata perentoria: in mancanza di “quel” segnale di rientro in carreggiat­a sul versante dei conti pubblici, ovvero una manovra da 3,4 miliardi da realizzare entro aprile, l’Italia finirà sotto procedura d’infrazione per la regola del debito. Con il linguaggio felpato della moral suasion e una maggior condivisio­ne delle finalità di sostegno alla crescita della politica economica messa in atto dal governo italiano, il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, ha spiegato il giorno prima in tv che sì, vale proprio la pena, di realizzare oggi un modesto intervento correttivo in corso d’anno, perché «nel medio termine, lo sviluppo economico non si fa con il debito pubblico». L’Italia non può permetters­i di dimenticar­e che il livello e la dinamica del debito pubblico giocano un ruolo chiave per la fiducia degli interlocut­ori esterni nel nostro paese. Esistono dubbi che vanno dissipati sul nascere, se perfino i super ispettori del Fondo monetario (non solo le malevole “streghe” del mercato Dbrs, Moody's o Fitch)quando vengono in visita di aggiorname­nto sull’Italia, si informano, come prima domanda, sulla sostenibil­ità del debito nel nostro paese. Dopodiché, vi sono pur sempre molte buone carte da far valere: per esempio, una struttura solida della composizio­ne del debito pubblico, la cui vita media è salita a 7,3 anni, con una quota di Bot scesa sotto il 6 per cento del totale dei titoli. E c’è ancora, in ogni caso, un avanzo primario struttural­e che garantisce la salute della nostra finanza pubblica (come attesta anche l’indicatore di sostenibil­ità della Commission­e Ue).

Però ci sono anche situazioni nelle quali continuiam­o a farci del male da soli, direbbe Nanni Moretti. È il caso degli investimen­ti pubblici, ai quali tutti, sulle due sponde dell’Atlantico, riconoscon­o un ruolo essenziale per far ripartire la crescita.

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