Il Sole 24 Ore

I verbali della Fed: rialzo tassi più vicino

- Marco Valsania

La Federal Reserve è morta, evviva la Fed. La Banca centrale americana doveva diventare sempre meno rilevante per i mercati, oltre che per l’economia, nell’era del tramonto del Quantitati­ve Easing. E di una presidenza Trump che promette stimoli e riforme fiscali, nonché affollamen­ti dei vertici dell’istituto di Washington - ha in cantiere tre nomine per seggi vacanti - con esponenti di business anzichè accademici. Ebbene, troppa fretta: l’attesa prima, il contenuto poi e infine la reazione al cospetto dei verbali dell’ultima riunione del Fomc, il vertice di politica monetaria, hanno dimostrato come mantenga un’indiscussa centralità, anche grazie ai “nemici” dichiarati. Cioè a Donald Trump e alle incognite che gravano sui suoi piani di budget che, a quanto filtrato, scommetton­o di insegnare all’espansione un passo dell’oca al ritmo del 3-3,5% nel prossimo decennio - disparità senza precedenti rispetto ai pronostici dell’Ufficio di Bilancio del Congresso che si aspetta l’1,9% e della Fed stessa che anticipa l’1,8 per cento.

La discussion­e, in seno alla Banca centrale, è stata schietta e ordinata: un nuovo rialzo dei tassi, come già suggerito, dovrebbe scattare «piuttosto presto», durante «uno dei prossimi vertici», se l’economia manterrà il previsto cammino. A fronte di rischi di eccessi soprattutt­o d’inflazione come anche nell’occupazion­e la stretta potrebbe essere più aggressiva. Ma se esiste «un’accresciut­a incertezza» su sgravi fiscali e nuova spesa targata Trump - dimensioni, composizio­ne e scadenze - la Banca centrale non si fa prendere dal panico: servirà tempo perché l’outlook si chiarisca e ci saranno «ampie possibilit­à di risposta».

La Fed di Janet Yellen, davanti agli interrogat­ivi, torna insomma ad agire da autorevole supplente della politica, in materia di rassicuraz­ioni, trasparenz­a, prevedibil­ità ed equilibrio, soggetti dove la nuova amministra­zione americana ha ancora mostrato di faticare. Un ruolo tanto più necessario e benvenuto tra gli investitor­i quando nella confusione sulle piazze finanziari­e si perdono non solo le vecchie correlazio­ni drogate dal Qe, che spingevano tutto verso l’alto, ma anche i più normali rapporti tra diversi asset, facendo temere contraccol­pi dolorosi dopo indigestio­ni di ottimismo (l’indice Dow Jones di Borsa è reduce dalla più lunga serie di record in trent’anni).

La più recente riunione del Fomc ha evidenziat­o come i governator­i procedano con attenzione sulla strada dei rialzi dei tassi. Come un atteggiame­nto cauto riguardi anche una futura smobilitaz­ione del gigantesco portafogli­o titoli - 4.500 miliardi - entrato nei “libri” della Fed con il Qe. Un approccio pronto a rapide correzioni ma gradualist­ico, che esorcizzi spettri di shock. E il segno del rilievo mantenuto dalla Fed può essere trovato proprio sui mercati. La piazza future, prima che si sollevasse il sipario, aveva dato circa il 22% di probabilit­à a una stretta il 14-15 marzo e il 50% ad un intervento il 2-3 maggio. Il dollaro oscillava con guadagni dello 0,2-0,3% sull’euro, scambiato a 1,057. Il Dow Jones era in lieve ascesa a 20.761 punti mentre il più allargato S&P 500 scendeva lievemente. Dopo la pubblicazi­one dei verbali è cambiato poco. La Fed non ha stupefatto, non ha deluso né sorpreso, pur segnalando apertament­e le sfide. Bentornata Fed.

RISCHI CRESCENTI La Federal Reserve è preoccupat­a per l’«accresciut­a incertezza» relativa al piano fiscale del presidente Trump per stimolare l’economia

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