I verbali della Fed: rialzo tassi più vicino
La Federal Reserve è morta, evviva la Fed. La Banca centrale americana doveva diventare sempre meno rilevante per i mercati, oltre che per l’economia, nell’era del tramonto del Quantitative Easing. E di una presidenza Trump che promette stimoli e riforme fiscali, nonché affollamenti dei vertici dell’istituto di Washington - ha in cantiere tre nomine per seggi vacanti - con esponenti di business anzichè accademici. Ebbene, troppa fretta: l’attesa prima, il contenuto poi e infine la reazione al cospetto dei verbali dell’ultima riunione del Fomc, il vertice di politica monetaria, hanno dimostrato come mantenga un’indiscussa centralità, anche grazie ai “nemici” dichiarati. Cioè a Donald Trump e alle incognite che gravano sui suoi piani di budget che, a quanto filtrato, scommettono di insegnare all’espansione un passo dell’oca al ritmo del 3-3,5% nel prossimo decennio - disparità senza precedenti rispetto ai pronostici dell’Ufficio di Bilancio del Congresso che si aspetta l’1,9% e della Fed stessa che anticipa l’1,8 per cento.
La discussione, in seno alla Banca centrale, è stata schietta e ordinata: un nuovo rialzo dei tassi, come già suggerito, dovrebbe scattare «piuttosto presto», durante «uno dei prossimi vertici», se l’economia manterrà il previsto cammino. A fronte di rischi di eccessi soprattutto d’inflazione come anche nell’occupazione la stretta potrebbe essere più aggressiva. Ma se esiste «un’accresciuta incertezza» su sgravi fiscali e nuova spesa targata Trump - dimensioni, composizione e scadenze - la Banca centrale non si fa prendere dal panico: servirà tempo perché l’outlook si chiarisca e ci saranno «ampie possibilità di risposta».
La Fed di Janet Yellen, davanti agli interrogativi, torna insomma ad agire da autorevole supplente della politica, in materia di rassicurazioni, trasparenza, prevedibilità ed equilibrio, soggetti dove la nuova amministrazione americana ha ancora mostrato di faticare. Un ruolo tanto più necessario e benvenuto tra gli investitori quando nella confusione sulle piazze finanziarie si perdono non solo le vecchie correlazioni drogate dal Qe, che spingevano tutto verso l’alto, ma anche i più normali rapporti tra diversi asset, facendo temere contraccolpi dolorosi dopo indigestioni di ottimismo (l’indice Dow Jones di Borsa è reduce dalla più lunga serie di record in trent’anni).
La più recente riunione del Fomc ha evidenziato come i governatori procedano con attenzione sulla strada dei rialzi dei tassi. Come un atteggiamento cauto riguardi anche una futura smobilitazione del gigantesco portafoglio titoli - 4.500 miliardi - entrato nei “libri” della Fed con il Qe. Un approccio pronto a rapide correzioni ma gradualistico, che esorcizzi spettri di shock. E il segno del rilievo mantenuto dalla Fed può essere trovato proprio sui mercati. La piazza future, prima che si sollevasse il sipario, aveva dato circa il 22% di probabilità a una stretta il 14-15 marzo e il 50% ad un intervento il 2-3 maggio. Il dollaro oscillava con guadagni dello 0,2-0,3% sull’euro, scambiato a 1,057. Il Dow Jones era in lieve ascesa a 20.761 punti mentre il più allargato S&P 500 scendeva lievemente. Dopo la pubblicazione dei verbali è cambiato poco. La Fed non ha stupefatto, non ha deluso né sorpreso, pur segnalando apertamente le sfide. Bentornata Fed.
RISCHI CRESCENTI La Federal Reserve è preoccupata per l’«accresciuta incertezza» relativa al piano fiscale del presidente Trump per stimolare l’economia