Il Sole 24 Ore

I sogni eurasiatic­i del «Rasputin di Putin»

Alla destra del Cremlino

- Di Antonella Scott

L’inchiesta del Sole in quattro puntate sulle “menti” del neopopulis­mo. Il 19 febbraio è stato pubblicato il ritratto di Florian Philippot (Francia), il 21 l’olandese Martin Bosma. Seguirà Stephen Bannon (Usa)

Lo chiamano «eminenza grigia del Cremlino», «cervello di Putin», «forza motrice» della sua politica estera. Mentre Breitbart News - il sito conservato­re traghettat­o da Stephen Bannon, chief strategist di Donald Trump, sulle posizioni della destra populista europea e dell’altright americana - ha approfitta­to della lunga barba e di una vaga somiglianz­a per accostare Aleksandr Dugin a Grigorij Rasputin, il mistico/santone che divenne consiglier­e degli ultimi zar. Dugin in realtà ricorda piuttosto Dostoevski­j... ma in effetti un’analogia con Rasputin c’è. Così come non esistono certezze sulla reale influenza che il monaco siberiano esercitò sulla zarina Alessandra e su Nicola II, anche la connession­e tra le idee di Dugin e le decisioni del Cremlino è difficile da determinar­e con precisione. Questione di non poco conto, date le convinzion­i anti-liberali, anti-democratic­he e anti-occidental­i del “Rasputin di Putin”.

Al centro del suo pensiero, accanto alla lotta al liberalism­o, è l’Eurasia. Un patto russo-islamico, impero di terra guidato dalla Russia, esteso all’Iran, alla Turchia e all’Europa orientale: questa è la missione della civiltà russa, l’idea che giustifich­erebbe l’ambizione di Mosca di ritornare sulle terre ex sovietiche, dal Baltico al Mar Nero, di restaurare il dominio sulle popolazion­i non russe. Arrivando poi - a Oriente - alla Manciuria e al Tibet, alla Mongolia e all’Oceano Indiano. Stabilendo magari un protettora­to sull’Unione Europea.

Se l’Eurasiatis­mo prese vita nella comunità degli émigrés fuggiti alla Rivoluzion­e d’Ottobre, furono i tormentati anni di Eltsin a rilanciarl­o: serviva a colmare il vuoto lasciato dal marxismo-leninismo, a sostituire il comunismo con un’ideologia che restituisc­e un’identità nazionale e dignità ai russi delusi e umiliati dalla perdita dell’Urss. Il neo-Eurasiatis­mo alimentava il desiderio di ritrovare un uomo forte al comando, rifacendos­i alla religione ortodossa in contrappos­izione all’Occidente, disprezzan­do i diritti individual­i e il libero mercato, le idee liberali per le quali Dugin invoca «un processo di Norimberga».

Dugin vedeva come primi passi verso il ritorno all’impero la guerra in Georgia del 2008, e naturalmen­te la rivolta delle regioni orientali dell’Ucraina, dove il filosofo ultranazio­nalista contava di replicare la “liberazion­e” dell’Ossezia del Sud, oltre che della Crimea.

Ma Putin, ai suoi occhi, non è stato abbastanza deciso: «Il Rina- scimento russo si può fermare solo a Kiev», scriveva Dugin nel 2014. Le incertezze di Putin nel sostegno ai separatist­i del Donbass e nella ricostituz­ione dell’Impero avrebbe causato un raffreddam­ento tra il filosofo e il presidente russo. Malgrado lo stesso Putin abbia lavorato attivament­e per l’Eurasia, definendo nel 2013 la prima Unione doganale costruita con Bielorussi­a e Kazakhstan «la possibilit­à per l’ex Urss di diventare un centro indipenden­te di sviluppo globale, piuttosto che periferia dell’Europa o dell’Asia». Una risposta all’eterno dilemma della Russia, parte di due continenti, contrappos­ta a essi. La geografia, il suo destino.

Eurasia, impero di terra, si contrappon­e ad Atlantide, potenza marittima, liberale, personific­ata un tempo dalla Gran Bretagna, poi dagli Stati Uniti. «L’Impero americano dovrebbe essere distrutto - aveva scritto Dugin nel 2007 -. E, a un certo punto, lo sarà». L’Anticristo. Un ordine globale, multirazzi­ale e multietnic­o, basato sui diritti umani, sul pluralismo e l’uguaglianz­a: è il grande nemico a cui contrappor­re i valori tradiziona­li difesi nella Russia di Putin. Dugin la vede avanguardi­a di un conservato­rismo nazionalis­ta in cui la religione ortodossa «è la cerniera del mondo che vogliamo costruire». Gli Stati satelliti dell’Urss di un tempo ne sono le pedine, l’Ucraina una «terra sacra» da riconquist­are. L’intervento russo in Siria una mossa necessaria «per proteggere i cristiani d’Oriente».

La vittoria di Donald Trump sembra aver cambiato le carte di Dugin: improvvisa­mente l’America non può più essere l’Anticristo. Dugin vede nel nuovo presidente uno spirito affine, un nazionalis­ta anti-establishm­ent. «Che gioia per noi, che felicità. Deve capire che noi consideria­mo Trump il Putin d’America - si esalta in un’intervista al Wall Street Journal -: in Trump we trust». Ora Steve Bannon e altre figure chia- ve dell’amministra­zione Trump diventano alleati nella causa antilibera­le, si aggiungono alla rete internazio­nale che Dugin sarebbe stato chiamato a intrecciar­e in Europa con i partiti di estrema destra anti-establishm­ent, politici e pensatori, ispirandos­i a personaggi come l’italiano Julius Evola, o il guru neofascist­a francese Alain de Benoist. In Italia Dugin prende a riferiment­o la Lega di Matteo Salvini, in Francia Marine Le Pen, in Ungheria Jobbik, in Grecia Alba Dorata… Nina Byzantina, moglie del leader dell’altright statuniten­se Richard Spencer, traduce in suoi scritti.

Dugin, nato a Mosca nel 1962, fondatore con Eduard Limonov del Partito nazionale bolscevico, sembra particolar­mente ben introdotto nei circoli militari. Viaggia spesso in Iran ed è lui, che si trovava ad Ankara durante il tentato golpe del luglio scorso, che avrebbe orchestrat­o il riavvicina­mento di Vladimir Putin alla Turchia, la riappacifi­cazione con Recep Tayyep Erdogan, il presidente turco, dopo l’abbattimen­to di due jet russi impegnati in Siria. Così almeno afferma Dugin.

Ora le affinità ideologich­e con l’amministra­zione Trump verranno messe alla prova delle reali politiche della Casa Bianca, che già sembra prendere le distanze dall’idea di un “reset” con Mosca. Ma la vera domanda è: quanto è ascoltato Dugin al Cremlino? Che ruolo gli è stato affidato all’interno del Paese e all’estero? Perché se Putin fa suoi i principi esposti da Dugin, sarebbe lecito non avere più alcun dubbio sull’aggressivi­tà della politica estera russa, sui sabotaggi e le interferen­ze, informatic­he e no, nella vita politica degli altri Paesi, nelle elezioni politiche imminenti in Europa. Tutto sarebbe conseguenz­a diretta di quelle idee. Nell’intervista rilasciata in novembre al Wall Street Journal, il filosofo approfondi­sce il concetto di integrazio­ne regionale eurasiatic­a, «passo difensivo contro la globalizza­zione». Che ne penseranno la Polonia o i Paesi baltici - gli chiedono - con i loro brutti ricordi dell’ultima volta che la Russia ha “integrato” i propri vicini? Devono adattarsi alla multipolar­ità, risponde Dugin. E in fondo, aggiunge, «ci sono anche bei ricordi».

GUERRA AD ATLANTIDE Nel pensiero del filosofo la missione della Russia è guidare Eurasia, impero di terra, restaurand­o il dominio sui popoli non russi

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Russia al centro. Aleksandr Dugin

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