«Eccellenze nate dalle sole forze interne»
Storico
pCent’ anni di crescita e di arretramenti: la storia dell’industria napoletana «si potrebbe rappresentare come le onde di un mare agitato che continuamente si gonfiano e rifluiscono», per Giuseppe Galasso, storico di fama, docente emerito dell’Università di Napoli e repubblicano della scuola di Ugo La Malfa. «Nel 1917 – racconta, nel pomeriggio di una prematura primavera, lavorando nello studio di Pozzuoli affacciato su Nisida – si era nel pieno della prima guerra mondiale. La guerra aveva impresso impulso a tutta la produzione industriale, anche a Napoli e in Campania».
Ma l’industrializzazione dell’area era già avvenuta a cavallo tra 800 e 900 .
Nell’800, già prima dell’unità, a Napoli c’era un’industria di valore. A Portici, Pietrarsa, la fabbrica di treni più grande d’Italia. A Castellammare quella dell’armamento. E ancora qualche altra, tutte rette dal protezionismo borbonico. Un nucleo industriale più rilevante si formò soprattutto con legge speciale del 1904.
Quali effetti ebbe la legge Nitti del 1904?
La legge voluta da Francesco Saverio Nitti, con un piano strategico molto corposo e coraggioso, riuscì a produrre risultati mai più registrati da nessuna legge speciale, per cui alla vigilia della prima guerra mondiale Napoli era ormai la quarta città industriale italiana dopo Milano, Torino e Genova. Nelle periferie a ovest si localizzò l’industria siderurgica, a est altre fabbriche. Scaturirono occupazione, alfabetizzazione. Si formò una classe operaia moderna.
Nel 1917 fu fondata l’Unione industriali di Napoli: altra tappa importante?
L’Associazione di Napoli nacque sette anni dopo che a Torino, nel maggio 1910, era sorta la Confindustria. Primo presidente napoletano fu Maurizio Capuano, ad della Società meridionale di elettricità. Fu una buona partenza? Sì, si colse un momento favorevole per far partire l’associazionismo corporativo in un’area in cui, come si sa, le tendenze associative erano e sono molto deboli. Purtroppo alla partenza non corrispose lo sviluppo sperato. Arrivò la recessione? Alla fine della guerra si esaurì l’impulso impresso all’economia napoletana. Vi fu chi disse che nel 1921 le due zone industriali a est e a ovest della città erano disseminate di aziende chiuse e di ciminiere che non fumavano. Negli anni 20, che furono di ripresa in Italia, a Napoli si rimase indietro, e neppure i grandi lavori pubblici promossi dal regime fascista aiutarono.
Poi vi fu però un rinnovato slancio all’economia?
Solo verso il 1934, con la svolta bellicista e imperialista del fascismo, si ebbe molto più di una semplice ripresa. Si moltiplicarono e si ampliarono le fabbriche belliche come lo Spolettificio o il Silurificio. Crebbero le Cotoniere Meridionali per le necessità del vestiario militare. Una fase che durò solo gli anni della guerra fino al 1943, poi si tornò in crisi.
Ilritornoallapacefeceripartire l’economia?
La ripresa fu lenta, ma negli anni 50, col “miracolo economico”, si ebbe un nuovo slancio dell’attività industriale. Arriva Olivetti a Pozzuoli, arrivano aziende straniere. Cresce Bagnoli e si consolida l’alimentare. Una ripresa più duratura? Per niente. L’industrializzazione dal 1950 vide dapprima un grande protagonismo dell’edilizia, che ha spesso dominato anche nel-
«A Napoli negli ultimi anni si sono affermate imprese valide senza sostegni pubblici»
«Cent’anni di crescita e arretramenti, ma oggi si sono raggiunti livelli d’avanguardia»
l’Unione industriali. Poi, fu decisiva l’industria pubblica che poco si amalgamava con quella privata. L’intervento straordinario dapprima diede slancio al Mezzogiorno, poi si burocratizzò e comportò spreco di risorse pubbliche. Si ebbero importanti eventi industriali, come l’apertura dell’Alfa Romeo di Pomigliano. Negli anni 70 si ebbero i primi segnali della crisi, acuitasi negli anni 90, con una parentesi non positiva dopo il terremoto dell’80 e con una nuova sferzata dal 2008. Risultati: deindustrializzazione e calo dell’occupazione. E oggi? Napoli riparte? Oggi, pur insidiata da elementi negativi, l’industria napoletana, restringendosi sulla scala generale, si è consolidata nel suo ambito, e opera sul mercato con punte di eccellenza e con performances positive anche nel campo delle esportazioni. Ha inoltre variato il suo quadro merceologico-produttivo e ha conseguito un livello tecnologico di avanguardia.
Quale lezione ci offre l’excursus dei cento anni?
Penso che l’imprenditorialità industriale napoletana, pur lasciata un pò a se stessa, si sia mostrata in grado di realizzare una crescita non sostenuta da grandi interventi pubblici e meno esposta ai venti delle congiunture economiche e politiche. Una strada obbligata e faticosa, ma assolutamente da percorrere.