Dietrofront in Brasile: no all’import di caffè
pContrordine in Brasile: non ci saranno importazioni di caffè. Il presidente Michel Temer ha ceduto alle pressioni dei coltivatori, sospendendo il via libera a rifornimenti dall’estero – i primi nella storia del Paese sudamericano – dopo soli due giorni dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale del decreto che dettagliava le regole per gli acquisti di robusta dal Vietnam (si veda il Sole 24 Ore del 21 febbraio).
La decisione è stata presa dopo un incontro di Temer con un gruppo di parlamentari eletti negli Stati a maggiore vocazione caffeicola, che hanno illustrato le preoccupazioni per i possibili danni all’agricoltura locale, non solo sotto il profilo economico ma anche sotto quello fitosanitario, per il rischio di vedere arrivare in Brasile parassiti e infestanti.
Già lo scorso maggio c’era stato un tentativo fallito di aprire alle importazioni: il Governo brasiliano aveva concesso e poi ritirato l’autorizzazione ad acquistare 400 tonnellate dal Perù. La questione ora è di nuovo al centro del dibattito politico. I coltivatori di caffè sostengono che, nonostante la grave siccità che ha colpito le piantagioni di robusta, ci siano scorte suffi- cienti per soddisfare le necessità dei produttori locali di caffè solubile, almeno fino all’avvio del prossimo raccolto a maggio. Gli industriali replicano che con circa 2 milioni di sacchi da 60 kg nei magazzini, come stima il Governo, si andrà avanti per meno di due mesi. Dalla loro parte sono riusciti a portare il ministro dell’Agricoltura, Blairo Maggi, che lunedì era stato chiaro: «Rispetto i coltivatori, ma le importazioni sono necessarie perché sul mercato domestico non c’è abbastanza caffè». Il ministro sostiene di aver fatto personalmente una ricognizione delle scorte, constatando la scarsità di caffè robusta, e che la quota del Brasile sul mercato internazionale del caffè solubile ha già cominciato a ridursi a gennaio e febbraio.
Il presidente Temer afferma di aver solo «sospeso temporaneamente» la misura che consente di importare, in attesa di «valutare meglio la situazione con gli altri organi di governo». Una revoca richiederebbe un nuovo decreto. Ma di fatto, finché non sarà fatta chiarezza, è difficile che qualcuno si arrischi ad ordinare caffè all’estero.