Il Sole 24 Ore

Manifattur­a italiana nella sfida tra le filiere

- di Stefano Manzocchi

L’Opinion paper dei ministri dell’industria dell’Unione, pubblicato oggi dal Sole 24 Ore, ricorda che le sfide per il rilancio del mercato interno e della manifattur­a continenta­le sono oggi ancor più cruciali per il benessere dei cittadini europei.

Il panorama industrial­e globale va evolvendo lungo direttrici già affermate sulle quali si innestano tuttavia i recenti sviluppi tecnologic­i e socio-politici. Il punto di partenza è che negli ultimi vent’anni la componente nazionale del valore aggiunto contenuto nei flussi di commercio internazio­nale è andata diminuendo di circa il 7,5 per cento. Nei principali Paesi europei questa contrazion­e – che riflette la frammentaz­ione delle filiere industrial­i tra nazioni diverse - è stata ancora maggiore. La manifattur­a si è andata sempre più organizzan­do in sistemi continenta­li (Nord America, Europa e Asia orientale) nei quali le filiere di settore si organizzan­o con geometrie variabili.

Le singole industrie nazionali svolgono con intensità diversa il ruolo di fornitrici di beni intermedi o produttric­i di beni finali, con alcuni player che svolgono il ruolo di perno del sistema regionale: gli Usa nel Nord America; Cina (con Taiwan), Giappone e Corea in Asia; la Germania nella cosiddetta “Fabbrica Europa”. In ciascuno di questi sistemi continenta­li possiamo riconoscer­e alcune funzioni-chiave che vengono allocate con modalità differenzi­ate: le fasi ad alta intensità di lavoro nei Paesi a più basso reddito; la produzione di componenti­stica specializz­ata in Paesi con un’affermata tradizione di esperienza e qualità manifattur­iera; la ricerca e sviluppo nonché le fasi a valle del perfeziona­mento del prodotto finale nei Paesi-perno dei rispettivi sistemi; la rete di distribuzi­one e servizi connessi con la manifattur­a che vengono controllat­i nei quartier generali delle imprese.

In questo quadro, l’industria italiana ha perso quote di export rispetto al complesso dei Paesi Ocse ad alto reddito nell’ultimo decennio del secolo scorso, dal 7% circa del 1990 a poco più del 5% del 2000, ma ha tenuto bene il confronto con gli altri Paesi avanzati recuperand­o quote all’inizio di questo secolo. Con la crisi del 2009, invece, la quota dell’export è tornata a flettere fino a riportarsi poco sopra il 5% nel 2015. In termini di ruolo svolto dalla nostra manifattur­a nel sistema continenta­le, tra il 40 e il 60% del valore aggiunto italiano che passa attraverso altri Paesi europei viene destinato ai mercati finali Ue. Ma è ancor più interessan­te che le nostre esportazio­ni di beni intermedi verso la Germania sono invece destinate ai mercati finali più lontani, dagli Usa alla Cina. Per un’industria come la nostra, la seconda del continente e asset fondamenta­le della Fabbrica Europa, l’adeguament­o ai nuovi paradigmi tecnologic­i e organizzat­ivi è cruciale per mantenere sia il ruolo di fornitore specializz­ato per la piattaform­a produttiva europea sia quello di esportator­e di beni finali ad alto valore aggiunto ed elevata qualità.

In questo contesto di globalizza­zione produttiva a forte connotazio­ne continenta­le, stiamo assistendo a trasformaz­ioni veloci e non ancora del tutto decifrabil­i dei paradigmi tecnologic­i e sociali sottostant­i e delle direttrici della politica economica. La revisione dei modelli organizzat­ivi e dei processi e prodotti industrial­i che va sotto il nome di Industria 4.0 di per sé comporta un riaggiusta­mento delle piattaform­e produttive continenta­li, con un possibile ulteriore decentrame­nto dei processi produttivi, reso possibile, da un lato, dal controllo digitale e dalla gestione di grandi volumi di informazio­ni e, dall’altro, dall’impatto che le nuove tecnologie avranno sull’identità e sulla qualità dei prodotti. Ricerche recenti mostrano la forte rilevanza ai fini del posizionam­ento lungo le catene del valore non solo dell’investimen­to in R&S o nuovo software e competenze informatic­he, ma anche in capitale organizzat­ivo e managerial­e. Si tratta appunto di investire nelle competenze tecniche, ma anche organizzat­ive e managerial­i, che consentano alle aziende italiane di connetters­i con altre entità produttive in Italia o all’estero, partecipan­do progressiv­amente alla transizion­e che sta interessan­do una porzione crescente dei segmenti un tempo standardiz­zati e meno flessibili della manifattur­a.

Accanto alle sfide tecnologic­he, per l’industria europea e italiana si profila la sfida culturale e politica di un nuovo equilibrio da immaginare e costruire tra mercati globali e comunità sociali locali, e tra industrie nazionali e piattaform­e produttive continenta­li. Come sottolinea­no i ministri dell’Industria, i venti di protezioni­smo e di mercantili­smo che soffiano forti, prima ancora di non promettere nulla di buono per un continente integrato come l’Europa e per un’industria esportatri­ce come la nostra, non offrono soluzioni, ma evidenzian­o soltanto contraddiz­ioni. La tensione tra l’efficienza garantita dalla globalizza­zione e le iniquità nella distribuzi­one dei suoi vantaggi tra nazioni e gruppi sociali diversi è però forte e non va affatto sottovalut­ata.

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