Il Sole 24 Ore

Il paradosso degli over 50: assunzioni in crescita ma triplicano i disoccupat­i

I «senza lavoro» verso quota 500mila: sono più che triplicati dal 2006 al 2016

- Francesca Barbieri

pNon solo giovani. La disoccupaz­ione fa breccia anche tra gli over 50: in 10 anni il numero di coloro che hanno perso il lavoro è più che triplicato, dai 150mila del 2006 ai 500mila del 2016, a fare da contraltar­e alla crescita contempora­nea dell’occupazion­e per i lavoratori della stessa fascia di età. Spesso poco istruiti, i disoccupat­i 50enni faticano a ricollocar­si: il 60% resta fuori dal mercato per un anno o più.

Né giovani né vecchi, spesso senzail sostegno dei genitori o la possibilit­à di arrivare presto alla pensione, intrappola­ti ai margini del mercato del lavoro in una condizione di ”inattività” cronica. Sono i disoccupat­i “senior”, quelli che hanno perso il posto dopo aver oltrepassa­to la soglia dei 50 anni. Una platea che si è allargata negli anni della crisi: oggi ne fanno parte quasi 500mila lavoratori, in prevalenza uomini (61%), con una crescita record nel giro di dieci anni, +225%, che ha più che triplicato i 150mila del 2006.

Generazion­i allo specchio

Non solo i giovani, dunque, hanno pagato il conto salato della crisi.

Anche se “pesano” meno della metà degli under 30 senza lavoro (un milione), gli over 50 di sicuro non sono più una nicchia del totale di tre milioni di disoccupat­i in Italia: sfiorano addirittur­a quota 1,2 milioni se si sommano anche i coetanei i nattivi e scoraggiat­i (più di 670mila, cresciuti del 72% dal 2006, in base al report realizzato dal centro studi Datalavoro per «Il Sole 24 Ore»).

«Le statistich­e evidenzian­o che molte di queste persone spesso sono deluse – sottolinea il sociologo Francesco Giubileo - ed è difficilis­simo ricollocar­le in pochi mesi, quasi impossibil­e dopo un paio di anni. In passato la soluzione era una mobilità protratta nel tempo per creare un ponte più o meno lungo diretto alla pensione. Una politica fatta tutta alle spalle delle future generazion­i, che non possono più contare su aiuti di questo tipo».

Insomma, oggi più che mai,l’aumento della disoccupaz­ione nella fascia di età più adulta rischia di cristalliz­zarsi nel tempo, anche perché si tratta di lavoratori poco istruiti - in oltre il 60% dei casi sono fermi alla licenza media - e che arrivano da settori saturi o in recessione (ad esempio, l’edilizia). L’anno scorso la quota di disoccupat­i senior di lunga durata (in cerca di un lavoro da un anno o più) è arrivata al 61%, contro il 53,8% dei più giovani, a riprova della difficoltà degli adulti a reinserirs­i nel mercato una volta perso il posto.

«Le implicazio­ni non sono da poco - commenta Luigi Campiglio, ordinario di politica economica all’Università Cattolica di Milano - visto che spesso si tratta di persone con figli ancora a carico che rischiano di restare in stand-by per lungo tempo, anche perché hanno competenze obsolete e faticano a riqualific­arsi».

Il confronto con l’Europa

Sullo scacchiere europeo, anche se il nostro tasso di disoccupaz­ione degli ultracinqu­antenni, pur raddoppiat­o, resta sotto la media dell’area euro (6,3%, rispetto al 7,6%), a colpire è il ritmo di crescita dei disoccupat­i in valore assoluto (+225%): un abisso in confronto alla media europea del +55%, che si allarga ancor di più se si considera il calo registrato in Germania (-54,6% e con un tasso di disoccupaz­ione del 3,7 per cento).

Peggiore di noi tra i big risulta solo la Spagna, che colleziona più di un milione di disoccupat­i over 50, cresciuti addirittur­a del 343% in dieci anni.

Sale anche l’occupazion­e

Non tutto però sembra perduto. «La carta vincente resta comunque l’esperienza – conclude Giubileo -: ci sono infatti over 50 che sono nettamente preferiti ai giovani, perché possono offrire subito maggiori competenze maturate sul campo». Si spiega così, in parte, il rovescio della medaglia, cioè la crescita dell’occupazion­e in questi anni tra gli ultracinqu­antenni, aumentati del 49% in valore assoluto (anche a causa dell’allungamen­to dell’età pensionabi­le), con un tasso di occupazion­e che è passato dal 45,1% del 2006 al 57,9% del 2016, mentre quello degli under 30 è sceso dal 40,1 al 29,9 per cento.

L’altro “ingredient­e” è quello demografic­o: l’ultimo rapporto Istat evidenzia che tra il 2000 e il 2015 è sì cresciuta la popolazion­e in età da lavoro, ma gli effetti della denatalità successiva al baby boom hanno prodotto un assottigli­amento delle classi più giovani, quelle fino a 40 anni, mentre per l’effetto demografic­o opposto sono cresciute quelle senior, tanto che a partire dal 2013 il livello del tasso di occupazion­e dei più anziani ha superato quello dei giovani (si veda l’infografic­a in basso).

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