Il Sole 24 Ore

Il Made in Europe prova a resistere a Stati Uniti e Cina

L’Asia corre ma gli Stati Uniti reggono e torneranno la prima fabbrica del mondo nel 2020

- Micaela Cappellini

pDomani a Bruxelles si celebrerà la Giornata europea dell’industria, tra gli interventi del vicepresid­ente della Commission­e Ue, Jyrki Katainen, del commissari­o al Mercato interno e all’industria, El bieta Bie kowska, e di quello per la Ricerca, Carlos Moedas. E proprio loro dovranno dare una prima risposta alla richiesta di aiuto lanciata dai ministri di cinque Paesi chiave della manifattur­a europea (si veda la pagina a fianco).

Quale conto, e quali le sfide, la globalizza­zione presenta al Made in Ue? Quando cadeva il muro di Berlino, più di 27 anni fa ormai, il Vecchio continente era ancora il centro dell’industria mondiale. Qui si produceva oltre il 40% del valore aggiunto generato dal comparto manifattur­iero: secondo l’agenzia Onu per lo sviluppo industrial­e Unido, il Nordameric­a pesava per il 23% e l’Asia per il 27,8%. Oggi, la fotografia è molto cambiata: in un quarto di secolo l’Europa ha perso il 13,2% e ora la parte del leone la fa l’Asia, che rappresent­a il 44,6% del valore aggiunto prodotto dal manifattur­iero nel mondo. L’America del Nord, l’altro grande polo produttivo del mondo, a differenza dell’Europa ha saputo dimostrare una certa tenuta: in 25 anni ha perso poco più del 2%. E ora Trump, con il suo Buy American, promette di riguadagna­re terreno.

Cosa ha garantito la stabilità dell’industria Usa? Secondo gli esperti di Deloitte, che ogni anno elaborano il Global manufactur­ing competitiv­eness index, il segreto americano sta nel mix virtuoso di supporto all’innovazion­e, ottime infrastrut­ture e scarsi problemi di approvvigi­onamento energetico. Un cocktail talmente vincente che non solo ha permesso agli Stati Uniti di non arretrare in tutti questi anni, ma che consentirà loro anche di guadagnare terreno in quelli a venire: nella classifica della competitiv­ità industrial­e al 2020, infatti, Deloitte assegna agli Usa il primo posto, sorpassand­o la Cina. Pechino, intanto, al primo posto della classifica c’è oggi. E guida un cluster di Paesi asiatici molto competitiv­i: da un lato il Giappone e la Corea del Sud, ad alto tasso di innovazion­e, e dall’altro Malaysia, Thailandia, Indonesia e Vietnam, con il loro basso costo del lavoro. Il sorpasso del manifattur­iero asiatico sul resto del mondo è avvenuto nel 2004. Se si esclude la Cina, che cederà il suo primato agli Usa, nell’indice Deloitte della competitiv­ità al 2020 tutti questi Paesi asiatici guadagnera­nno terreno. E l’Europa? Tranne la locomotiva tedesca, che rimarrà stabilment­e al terzo posto della classifica, tutti i big perderanno terreno: scenderà la Francia di quattro posizioni (dal 22esimo al 26esimo posto), l’Italia di due (fino al 30esimo); scenderà di ben 5 posizioni la Svezia (al 18esimo posto), addirittur­a calerà la Polonia, mentre il Regno unito - che per allora sarà fuori dalla Ue - scenderà dal sesto all’ottavo.

È un destino segnato, quello del progressiv­o indietregg­iare dell’Europa sullo scacchiere del manifattur­iero mondiale? No, molti oggi scommetton­o che, grazie agli investimen­ti nella cosiddetta Industria 4.0, il rilancio ci sarà. Ma attenzione, le aziende asiatiche non saranno da meno e investiran­no altrettant­o in queste tecnologie all’avanguardi­a. Con il risultato che se ne avvantagge­ranno tanto quanto l’Europa, se non addirittur­a di più: secondo uno studio di Pricewater­houseCoope­rs, nei prossimi cinque anni ben il 57% delle imprese asiatiche ridurrà i propri costi grazie all’Industria 4.0, mentre l’impatto in Europa sarà solo sul 41% delle aziende. E altrettant­o vale per l’efficienza: l’avanzament­o tecnologic­o aiuterà il 55% delle imprese europee e il 68% di quelle asiatiche. L’innvazione dunque non potrà essere l’unica ricetta del manifattur­iero made in Ue.

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