Il Sole 24 Ore

La ricetta vincente dell’Irlanda, l’affanno di Francia, Italia e Uk

- Mi.Ca.

Si riduce il peso specifico del manifattur­iero europeon el mondo, masi riduce anche il contributo dell’industria al valore aggiunto totale prodotto da ciascun Paese Ue. Merito della crescita del terziario avanzato, certo, dell’Ict, della ricerca. Resta però il fatto che l’industria manifattur­iera nell’Unione europea, negli ultimi venti anni, è passata dal 23,3 al 19,3% del valore aggiunto annuale.

Chi ha dismesso di più? Secondo i dati di Eurostat, l’Italia è sotto la media, poiché è passata dal 23,9 del 1995 al 18,8% del 2015. Ma è in buona compagnia: con lei ci sono anche il Belgio, la Francia, l’Olanda, la Finlandia, la Svezia e il Regno Unito; persino Lettonia, Croazia e Romania rientrano in questo gruppo, nonostante siano entrate più tardi nella Ue e abbiano quindi potuto beneficiar­e dell’onda lunga degli investimen­ti a Est.

Al contrario, in questi venti anni c’è chi in Europa ha saputo trovare la ricetta per far crescere il peso del proprio manifattur­iero. L’esempio più lampante è quello dell’Irlanda: grazie alle politiche fiscali, agli incentivi, alla manodopera qualificat­a ma a basso costo, la tigre celtica ha visto passare la quota di valore aggiunto nazionale generato dall’industria dal 26,2 al 39,1%. La percentual­e più alta di tutta la Ue.

Il peso del manifattur­iero sull’economia è cresciuto poi soprattutt­o a Est: in Polonia (dove è passato dal 24,3 al 26,3%), in Ungheria (dal 25,4 al 27,8%), in Bulgaria (dal 21,2 al 23,5%) e in Repubblica ceca (dal 31,4 al 32,1%).

E in Germania? Il motore è rimasto pressoché stabile, dal 26,1 al 25,9% in 20 anni. La tenuta del manifattu- riero tedesco è legata alla sua alta specializz­azione tecnologic­a: come dimostrano i dati dell’Unido (l’agenzia dell’Onu per lo sviluppo industrial­e), le produzioni ad alto valore tecnologic­o rappresent­ano ben il 73% di tutto l’export industrial­e del Paese.

Il punto però è che, ancora una volta, la Cina negli anni si è avvicinata a grandi passi: in soli due decenni la quota hi-tech del suo export manifattur­iero è passata dal 35 a quasi il 60%. Nello stesso lasso di tempo, l’industria è diventata il settore più importante dell’economia di Pechino e ora rappresent­a

IL CALO Dal 1995 al 2015 il Made in Ue è passato dal 23,3% al 19,3% del valore aggiunto totale prodotto dai 28 Paesi membri

un terzo del Pil cinese e il 18% del valore aggiunto prodotto a livello mondiale.

La corsa di Pechino è stata inesorabil­e: tra il 2000 e il 2013 l’export del manifattur­iero cinese è cresciuto a un tasso medio annuo del 18,8: due volte più velocement­e della media dell’industria mondiale, che in quel periodo è stata dell’8 per cento. Nel complesso, le esportazio­ni del made in Asia in vent’anni sono decuplicat­e, da 346 a 3.371 miliardi di dollari, mentre quelle dell’Europa, pur cresciute, hanno mostrato una velocità minore: da 83 a 620 miliardi di dollari. Ecco perché, nel 2004, l’Asia ha sorpassato la Ue ed è diventata la prima fabbrica del mondo.

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