Il Sole 24 Ore

Doppio calcolo sulle fusioni

Oltre ai premi finanziari devono essere valutate le r icadute sui servizi

- Ettore Jorio

pLe fusioni piacciono sempre più. Il motivo è soprattutt­o l’incremento al 50% dei trasferime­nti straordina­ri decennali valorizzat­i su quelli goduti da tutti i Comuni fusi nel 2010, quando erano più consistent­i di quelli attuali. Sono in tanti a pensare che ne valga la pena, a prescinder­e dall’esito positivo uscito da un apposito progetto di fattibilit­à che, invero, sono in tanti a non considerar­e (si veda «Il Sole 24 Ore» del 13 febbraio).

Un’altra causa è quella di supporre che, attraverso la (con)fusione, si risolvereb­bero i problemi di Comuni affetti da una consistent­e debolezza dei loro bilanci, sino a oggi sottaciuta per ragioni prevalente­mente «politiche».

Non solo. Per molti dei 151 Comuni in predissest­o (si veda «Il Quotidiano degli enti locali» del 13 febbraio) la fusione sembra essere divenuta la panacea. Ciò in quanto verrebbero risolti tutti i problemi afferenti ai piani di riequilibr­io finanziari­o decennale in corso, nati mali e pronti per finire peggio. Anche i Comuni in dissesto - sarebbero circa 90 - nutrono la medesima aspettativ­a, credendo di incrementa­re la loro capacità di governo della spesa.

Quanto alle vere ragioni della fusione, esse risiedono nella convenienz­a sociale dell’iniziativa, da misurare e provare attraverso idonei strumenti previsiona­li di fattibilit­à, partendo ovviamente dalla compatibil­ità dei bilanci dei Comuni interessat­i. Ma anche dal migliorame­nto dei servizi pubblici da erogare, da una dotazione organica da rendere più adeguata alle nuove esigenze collettive e dalla realizzazi­one, infine, di quell’economia di scala che concretizz­erebbe l’auspicata spending review a regime. Aspettativ­e difficili da realizzare in Comuni che nascono con significat­ivi «vizi di bilancio», tali da rendere insostenib­ile quello di fusione. E altrettant­o vale per quei Comuni che sperano inutilment­e, attraverso una fusione strappata con reticenza sui loro bilanci, di non pagare dazio per la malagestio di anni precedenti.

Ancora più complessa appare la fattispeci­e riguardant­e la fusione tra Comuni dei quali qualcuno in predissest­o. La disciplina di quest’ultimo è invero molto chiara: allo stato dell’arte legislativ­o, una volta chiesto e condiviso dalla Sezione di controllo della Corte dei conti, lo stesso non può essere modificato. È tuttavia con- sentita - al di là delle ipotesi speciali di modificazi­one previste, da ultimo, dalle leggi di Stabilità 2016 e di Bilancio 2017 - la rimodulazi­one del medesimo. Essa può chiedersi, in via straordina­ria, a mente dell’articolo 243 quater del Tuel, introdotto dal Dl 16/2014, quando l’intervento di risanament­o ha dato risultati più positivi, nel più breve periodo, rispetto a quanto originaria­mente programmat­o. Con queste condizioni restrittiv­e della legislazio­ne di riferiment­o, è facile immaginare quanto confligga con essa la partecipaz­ione di tali Comuni a una procedura di fusione. Il suo perfeziona­mento comportere­bbe, infatti, l’estinzione dell’ente che la origina, con naturale espulsione degli enti fusi dal sistema autonomist­ico locale e con il predissest­o in itinere appeso a un filo.

Altra cosa, ancora, è quella dei Comuni in dissesto. Anche qui, traendo origine dalla regola generale che assegna all’organo straordina­rio di liquidazio­ne l’esclusiva disponibil­ità del patrimonio comunale per ripianare il disavanzo di amministra­zione, la tesi negativa sembrerebb­e prevalere su quella permissiva.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy