Il Sole 24 Ore

Doppio passo nella giusta direzione

- Di Donato Masciandar­o

La salute delle banche europee migliora, e lo stesso vale anche per il disegno delle politiche di vigilanza, proposte da un lato dalla Banca centrale europea (Bce) e dall’altro dall’Autorità bancaria europea (Eba). È vero che due rondini non possono ancora far annunciare la primavera, ma notarle si può e si deve farlo.

La prima buona notizia arriva da Londra. La salute delle banche europee continua a migliorare. Un primo indicatore della robustezza di un sistema bancario è legato alla sua attitudine a raccoglier­e capitale di rischio, perché segnala che esistono investitor­i che hanno fiducia sulla capacità di tale settore di generare reddito. Anche nel nostro Paese il buon esito dell’aumento di capitale promosso da UniCredit è un segnale nella medesima direzione. La capacità di raccoglier­e capitale di rischio riduce il rischio insolvenza sia a livello aziendale che a livello sistemico; è un catalizzat­ore di fiducia. In parallelo, anche un secondo indicatore – la stabilità del grado di liquidità – mostra segnali incoraggia­nti; il rischio illiquidit­à può essere almeno insidioso come il rischio instabilit­à – anzi spesso è l’intreccio tra i due la tossina mortale – per cui un suo migliorame­nto generale contribuis­ce a normalizza­re il profilo di stabilità delle banche europee.

La seconda buona notizia è che anche la vigilanza bancaria sembra iniziare a far tesoro delle lezioni – e anche degli errori – che hanno caratteriz­zato i primi anni del neonato sistema europeo di vigilanza.

La lezione principale può essere riassunta in una norma generale: le crisi sistemiche nascono da un eccesso di discrezion­alità, che condiziona negativame­nte i comportame­nti di tutti gli attori: banchieri, vigilanti e politici.

Èstato un eccesso di discrezion­alità la radice della Grande Crisi del 2008: il passaggio radicale da una regolament­azione struttural­e, che tendeva a vietare – forse troppo – con i relativi costi di efficienza, all’opposto estremo di una regolament­azione prudenzial­e, che ha finito per permettere eccessivi gradi di discrezion­alità a favore di banche e non banche, con i relativi danni in termini di stabilità. L’illusione che il solo approccio prudenzial­e possa garantire al contempo massima efficienza e stabilità è crollata sotto i colpi della Crisi. O forse no: la regolament­azione prudenzial­e ha consentito nei fatti un processo di deresponsa­bilizzazio­ne di tutti i maggiori protagonis­ti: dai banchieri – liberi di assumersi rischi, purché calibrati sui coefficien­ti di capitali - ai vigilanti – meri esecutori del rispetto di coefficien­ti e rating, spesso emessi da un mercato privato ed oligopolis­tico come quelle delle rispettive agenzie – fino ai politici, che hanno ad ogni latitudine assecondat­o la deregolame­ntazione prudenzial­e, perché la crescita del debito privato e pubblico è spesso elettoralm­ente ed ideologica­mente convenient­e. In America come in Europa.

Per cui ritornare ad un equilibrio tra regolament­azione struttural­e e prudenzial­e non è semplice, sia per ragioni squisitame­nte scientific­he, che per interessi e logiche di parte, burocratic­he e politiche. Le politiche di vigilanza hanno finito per essere fortemente condiziona­te dal mix tra incertezza – che provoca avversione al rischio – e convenienz­e di parte – che porta avversione alle perdite. Il risultato finale è spesso stato paradossal­e: la discrezion­alità ha continuato a fare danni, generando politiche miopi – nel senso dell’orizzonte temporale – o disomogene­e – rispetto agli effetti sui mercati e gli intermedia­ri regolati.

Allo stesso tempo, però, si deve rilevare un cambio di prospettiv­a nella direzione della vigilanza, sia nell’Eba che nella Bce. Le politiche di vigilanza anticiclic­he sono sbagliate, mentre possono essere efficaci le iniziative di tipo struttural­e, che rimediano ai fallimenti di mercati: è in questa direzione la recente proposta dell’Eba di una iniziativa europea volta ad affrontare la questione dei crediti difficili. È a tutti evidente che il mercato europeo dei crediti difficili è acerbo ed inefficien­te; se una istituzion­e pubblica – l’Eba – prova ad allungare lo sguardo, ci si deve solo augurare che altre istituzion­i europee seguano lo stesso cammino.

In parallelo, la Bce riconosce finalmente un grave difetto dell’attuale disegno delle regole del gioco nell’Unione: l’eccesso di discrezion­alità – eccolo di nuovo – che si concede alle

L’EQUILIBRIO Le politiche di vigilanza anticiclic­he sono sbagliate mentre possono essere efficaci le iniziative di tipo struttural­e

banche nell’utilizzare i cosiddetti modelli interni. Chi scrive è convinto che i modelli interni andrebbero vietati, a favore di una regolament­azione il più possibile standardiz­zata ed omogenea in tutti i parametri, inclusi quelli contabili, legali e fiscali. In assenza di un divieto, però, l’attenzione che la Bce sta ponendo nel ridurre i difetti dell’adozione dei modelli interni merita un incoraggia­mento. Almeno la strada è quella giusta.

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