Il Sole 24 Ore

La difficile Vigilanza nell’Unione poco unita

- Di Alessandro Merli

Non è stata un’infanzia facile quella della vigilanza bancaria europea. Concepita e partorita nel giro di pochi mesi, ha trovato una casa alla Banca centrale europea, anche se molti ritenevano che non fosse la sua dimora ideale, sotto la pressione dell’urgenza. Ha cominciato a lavorare mentre era ancora al- la ricerca di un modus operandi, ma ha avuto comunque il merito di dare una spinta al rafforzame­nto patrimonia­le del sistema e a liberarlo almeno in parte dell’ambiguo rapporto vigilanti-vigilati che in diversi Paesi era stato una delle cause della crisi.

Si è dovuta confrontar­e con regole che cambiano, dalla proibizion­e dei bail-out all’introduzio­ne del bail-in, e con un’unione bancaria incompleta: senza la garanzia comune sui depositi, ha ricordato di recente il capo economista della Bce, Peter Praet, non si può nemmeno parlare fino in fondo di moneta unica.

Si è concentrat­a anzi tutto sul rischio di credito, dove era più facile intervenir­e, e ora, con un lavoro che di fatto inizia con l’annuncio di ieri, metterà le mani anche sul rischio spesso mascherato da modelli interni, che troppo a lungo sono stati considerat­i troppo complessi per intervenir­e, ma la cui disomogene­ità crea problemi alla credibilit­à dei bilanci delle banche non solo in Europa, ma anche nel confronto internazio­nale. Il lavoro viene preso sul serio: la vigilanza della Bce non ha mai investito tanto su un singolo progetto.

L’impasse sulle nuove regole di Basilea, un’incertezza che sta nuocendo pesantemen­te alle banche, è dovuta anche alle visioni contrappos­te dei modelli interni sulle due sponde dell’Atlantico. Il problema è che ora, quando sarebbe stato il momento di stringere, non si sa nemmeno quale sia l’atteggiame­nto sulla riva americana. La nuova filosofia dell’amministra­zione Trump rischia di mettere in crisi anche il consenso globale che era emerso dopo la crisi, e cioè che la finanza non potesse più esser lasciata senza regole.

Intanto, però, l’Europa non ha ancora risolto l’eredità della crisi precedente. Chi ritiene che i crediti deteriorat­i siano un problema solo italiano, si illude. È per questo che, a dire il vero un po’ a sorpresa, il capo della European Banking Authority, Andrea Enria, ha rilanciato la questione della soluzione europea per gli Npl. In quella forma, appare difficilme­nte digeribile dalla Germania, ancor meno in un anno elettorale. Il vicepresid­ente della Bce, Vitor Constancio, ha rilanciato su uno schema europeo, ma con soluzioni nazionali.

La stessa Bce sembra rendersi conto che il tempo a disposizio­ne non è più molto. Il fatto che ieri, insieme alla revisioni sui modelli interni, abbia lanciato uno stress test per il 2017 tutto focalizzat­o sulla vulnerabil­ità delle banche a un possibile rialzo dei tassi d’interesse, è sintomatic­o di come a Francofort­e si preparino a un futuro che magari non sarà imminente come negli Stati Uniti (da Washington, sempre ieri, la Fdic, uno dei controllor­i delle banche americane, ha proposto lo stesso esercizio), ma che non è neppure più tanto remoto. Ma trovarsi di fronte a un rialzo dei rendimenti, che può di nuovo incidere sulla qualità dell’attivo e far salire le sofferenze, anche se darebbe un po’ di respiro al margine d’interesse, senza prima aver chiuso i conti con l’eredità del passato, produrrebb­e nuove crepe che l’Europa non si può permettere.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy