Il Sole 24 Ore

Ora un vero scatto per rilanciare l’Italia

- di Giorgio Santilli

Le fibrillazi­oni della politica - fra inchiesta Consip e congresso Pd - non devono far perdere di vista al governo e al Parlamento la priorità numero uno del Paese: crescita, crescita, crescita. Ora che le elezioni sembrano tornare all’orizzonte naturale del 2018, il governo Gentiloni è tenuto a riprendere il sentiero delle riforme che sarà tracciato nel Def e nel Piano nazionale riforme (Pnr) di aprile. «L’amore per il Paese davanti a tutto», ha detto ieri il premier ribadendo di voler continuare i su quel cammino. Serve governabil­ità non certo per galleggiar­e o tirare a campare con la riproposiz­ione di misure più o meno avviate, ma per far fare uno scatto al ciclo delle riforme.

Se la sfida non è quella degli “zero virgola”, bisogna avere l’ambizione di presentars­i al Paese (e all’Europa) con un programma rinnovato e rivitalizz­ato di riforme per dare numeri ben più robusti alla crescita. Il governo deve avere l’ambizione di recuperare quei due punti percentual­i di Pil che sono, su orizzonte triennale, l’obiettivo espresso nel Piano nazionale di riforme di un anno fa.

Il governo ha cominciato a lavorare a questo piano e in queste pagine abbiamo raccolto le misure che si stanno mettendo a punto e quelle che ancora non sono definite ma darebbero al Piano nazionale delle riforme e al Def maggiore credibilit­à. Su alcune misure il governo ha già cominciato a lavorare, in sede tecnica e con varie ipotesi, in vista del Def, del Pnr e, più in generale, dell’attività di governo delle prossime settimane mirata alla crescita. In questa categoria rientra il taglio del cuneo contributi­vo di 3-5 punti per abbattere il costo del lavoro che dovrebbe entrare nella manovra di autunno ma che al momento sarebbe limitato ai soli neoassunti con una forte riduzione dell’impatto positivo. Altre misure in corso di elaborazio­ne: il decreto legge del ministro Delrio per il rilancio degli investimen­ti infrastrut­turali, la fusione AnasFs e le gare del trasporto pubblico locale; la nuova politica energetica del ministro Calenda per abbattere anche su questo fronte i costi delle imprese e far fare al Paese un salto di competitiv­ità; il correttivo del codice appalti che, con la previsione di un periodo transitori­o flessibile, dovrebbe contribuir­e a superare alcune difficoltà dei mesi scorsi.

Ci sono altre misure - si pensi alle liberalizz­azioni, alle norme per la concorrenz­a, alla regolazion­e delle piattaform­e digitali per il mercato come Uber - dove bisogna passare dai buoni propositi e dalle enunciazio­ni generiche di apprezzame­nto per i benefici del mercato a misure coraggiose per liberare le energie imprendito­riali del Paese. Queste misure sono nell’orizzonte del governo ma hanno bisogno di tradursi in politiche senza ulteriori timidezze: il passaggio alla «fase 2» delle gare per la copertura della banda ultralarga (che riguarda anche le imprese e i distretti industrial­i beneficiar­i di «Industria 4.0»), un piano a tappeto di risparmio energetico per gli edifici della pubblica amministra­zione, mettendo insieme forze e risorse finora disperse; l’avvio reale del piano «Casa Italia» per la prevenzion­e sismica. Ma anche la concretizz­azione di misure, più o meno annunciate, che servano a smaltire più rapidament­e il contenzios­o tributario o a riformare il fondo di garanzia per le imprese.

Su un terzo gruppo di misure davvero importanti per la crescita del Paese - riforma della Pa, servizi pubblici locali, taglio delle partecipat­e, giustizia civile - bisogna completare il percorso avviato con l’obiettivo non di arrivare stancament­e al traguardo con gli stessi rimpalli e gli “stop and go” degli anni passati, ma di produrre uno sprint che consenta di portare a casa buone norme e di renderle rapidament­e implementa­bili per dare efficienza e produttivt­à al sistema produttivo.

In aiuto del governo sono arrivati, in settimana, anche i dati Istat sul 2016 che rivelano in trasparenz­a cosa abbia funzionato e cosa no delle politiche attivate nei tre anni scorsi dal governo Renzi. In estrema sintesi: i consumi restano fiacchi (+0,2% nel quarto trimestre), gli investimen­ti totali crescono oltre le previsioni (+1,3% nel quarto trimestre e +2,9% su base annua contro una previsione di +2,2%), gli investimen­ti pubblici restano una potenziali­tà di crescita enorme ma ancora non sfruttata con la riduzione di un altro 5,4% (articolato in una crescita di 1,2 miliardi degli investimen­ti nazionali e una diminuzion­e di tre miliardi degli investimen­ti locali).

Non è certamente una forzatura trarre da questi dati una prima valutazion­e dei risultati prodotti dalle politiche messe in atto in questi anni: le politiche a sostegno del reddito (bonus 80 euro) non hanno prodotto crescita rilevante dei consumi; gli investimen­ti pubblici fondamenta­li, che restano una leva fondamenta­le per ripartire dopo gli anni del taglio agli stanziamen­ti e del patto di stabilità interno «stupido», non hanno ancora tradotto in risultati le molte cose buone fatte; il superammor­tamento e «Industria 4.0» sul versante delle imprese e i bonus per i lavori di edilizia in casa sul versante delle famiglie hanno trainato gli investimen­ti privati, protagonis­ti inaspettat­i del 2016.

È naturale che il governo Gentiloni invochi una continuità politica rispetto all’importante lavoro riformator­e avviato dal governo Renzi - il Paese ne ha bisogno e l’Europa ce la chiede - ma sarebbe un errore non distinguer­e luci e ombre di quelle politiche. Per impostare anche un salto di qualità, un’accelerazi­one, con il prossimo Piano nazionale di riforma, è necessario concentrar­e in modo selettivo riforme e spinta politica sulle cose che hanno funzionato (o promettono di funzionare) e tralasciar­e quelle che non sono risultate così efficaci (o peggio sono risultate dispersive) ai fini della crescita.

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