Il Sole 24 Ore

Un’antica «laudatio canis»

- di Carlo Carena

Teodoro Gaza fece parte di quei dotti bizantini che all’inizio del XV secolo, al dilagare delle armate turche di Maometto II, migrarono in Italia con fior di codici nelle valigie e con una cultura prestigios­a in testa; e di quelli in particolar­e che trovarono protezione e sostegno nel compatriot­a cardinale Bessarione, installato a Roma.

Campò insegnando e traducendo i filosofi greci in latino. Da Roma raminga alle corti di Mantova e di Napoli, e di nuovo a Roma ai tempi di Sisto IV, da cui si allontana irritato della tirchia remunerazi­one della sua versione della Storia degli animali di Aristotele, sconsiglia­ndo i dotti dal recarsi in quella città e coniando un detto: «Le migliori biade disgustano gli asini più grassi». Finirà povero in canna in un monastero del Cilento.

Ma in tali peripezie il povero Teodoro conservò una sua generosa – o costretta – gentilezza, se accanto a quelle opere ponderose e faticose, e fra le strettezze, ebbe anche l’idea e trovò il modo di fare a un illustre suo conoscente un dono grazioso e arguto: un cane, umile oggetto eppure «una delle cose più preziose e considerev­oli tra gli uomini».

Corredò il dono di un discorsett­o, Elogio del cane, che è un gioiello di eleganza. Scoperto e pubblicato una prima volta a Parigi nel 1590, esso trovò la sua consacrazi­one definitiva nell’edizione di un codice della regina Cristina di Svezia a opera di Angelo Mai nel 1853, da cui trasmigrò nientemeno che nella Patrologia Graeca del Migne, volume 161. E ora trova una traduzione italiana a cura di Lucio Coco, studioso di patristica greca, in un amabile volumetto di Olschki.

È, ci spiega dunque il buon Teodoro, il cane una sintesi di tutti gli animali e di quelle che Plutarco in una sua operetta morale non esita a definire le loro «virtù»: poiché il cane possiede il coraggio del leone, l’ubbidienza dei buoi, l’intelligen­za dei cavalli, la resistenza dei muli. Sa vivere in città e in campagna; accompagna l’uomo in guerra e a passeggio, lo serve nella custodia e nella caccia. Come tale, Platone nelle Leggi, raccomanda­ndo ai giovani quello sport, lo pone al loro fianco; mentre nella Repub- blica lo addita a modello dei governanti poiché esso possiede «un’indole oltreché coraggiosa, filosofica». Perciò non c’è da stupirsi se nei tempi antichi uomini stimatissi­mi dai loro contempora­nei non disdegnaro­no l’appellativ­o di Cani; e Diogene, il Cinico appunto, non negò di essere mordace anche lui e anche con gli amici, per salvarli, se occorre, come fanno quelle bestie fedeli.

Chi infatti è più amorevole, continua Teodoro, di quell’animale, che «quando il padrone è a casa, resta a casa; quando esce, esce anche lui e lo segue dovunque, giocando e scodinzola­ndo e facendo di tutto per procurare al padrone divertimen­to e piacere?».

L’ultimo capitolett­o dell’operetta è dedicato ai «Cani famosi dell’antichità». I citati sono solo una decina, delle centinaia che l’antichità ci ha tramandato, a cominciare da quello di Ulisse, Argo, che nel XVII libro dell’Odiss ea riconosce dopo tanti anni il padrone e finalmente muore, per approdare ai cagnolini di Trimalcion­e e di sua moglie Fortunata e alla cagnetta Perla, nera e oscenament­e grassa, avvoltolat­a in una fascia verde pisello, del loro ospite Creso, nel Satyricon di Petronio; e ai cani da pastore per i quali Columella suggerisce anche alcuni nomi efficaci per ottenere una pronta risposta: Ferox, Celer, Tigris... (Atteone, il cacciatore mitico, dovette escogitarn­e ottantasei, tanti erano i suoi segugi).

Teodoro ricorda il cane di Esiodo che fece scoprire i due assassini del poeta; un certo Pirro che balzò sul rogo del padrone e morì con lui tra le fiamme; il cane di Santippo padre di Pericle che seguì nuotando la nave che lo portava a Salamina, e spirò stremato non appena raggiunse la spiaggia; e un cane regalato dal re d’Albania ad Alessandro Magno, che si rifiutò di scontrarsi con un orso e un cinghiale mentre si scatenò e abbatté poi un leone e un elefante.

Così l’Autore si congeda, dolendosi di essere giunto al termine dello spazio disponibil­e sulle pagine, mentre avrebbe ancora altro di bello da dire su tutta la razza canina e su quella vergine cuccia assai graziosa a cui la sua Canis laudatio è allegata.

Teodoro Gaza, Elogio del cane, cura di Lucio Coco, Olschki, Firenze, pagg. 32, € 5

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