Il Sole 24 Ore

Come tornare nuovi e liberi

- di Nunzio Galantino

L’etimologia fa comunement­e derivare il termine “recupero” dal latino re ( di nuovo) e cuper re, affine al verbo c p re nell’accezione di “prendere”; per cui “recupero” è “tornare in possesso”. Un’attribuzio­ne più rara attribuisc­e la derivazion­e di “recupero”, sempre dal latino re- cuper re ma con riferiment­o a cuprus ( buono); sicché qui “recupero” è l’atto del “rendere di nuovo buono” ciò che non lo è più o ciò che è fortemente compromess­o. Il contrario di “recuperare” è “buttare/ scartare”. L’uno e l’altro possono riguardare le cose ma anche le persone. « Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione avete buttato in cielo un passerotto senza ali » ( L. Milani). Convinto di ciò, don Milani parla nei suoi scritti e fa a Barbiana “recupero scolastico”, intendendo­lo come reinserime­nto nella società, nelle famiglie e nel sistema economico di persone che, per percorsi accidental­i, hanno dimenticat­o di essere chiamati ad essere buoni e belli. Per lo stesso motivo i tossicodip­endenti vengono inseriti in “comunità di recupero”. I migranti, vengono “recuperati” in mare per dare loro nuove possibilit­à di vita in territori meno martoriati dai quali provengono. “Recuperare” centri storici o oggetti scartati vuol dire liberarli dall’abbandono per restituirl­i a una nuova vita.

Tutti sperimenti­amo l’arte del recupero e i suoi effetti benefici. Lo facciamo con il sonno, essenziale per il ripristino dei processi fisiologic­i e dei percorsi neurali sovraeccit­ati durante la veglia. Più faticoso e impegnativ­o è recuperare un rapporto, un’amicizia perduta, un amore sepolto da incrostazi­oni e da incomprens­ioni. Questo recupero è più difficile perché esige il volgere lo sguardo verso l’altro prima che verso se stessi, necessita di una richiesta di scuse anche se si pensa di avere ragione.

Se il tempo da vivere non può essere recuperato, la vita – ogni istante di vita vissuta – offre possibilit­à di recupero infinite. Per coglierle occorre partire dalle proprie debolezze, dai propri smarriment­i ( si recupera qualcosa che era persa), dalle proprie brutture. E bisogna “essere liberi”. La responsabi­lità di recuperare uomini dal mare, ad esempio, viene avvertita solo se si è liberi da egoistici pregiudizi. Occhi e mani che chiedono di essere recuperati non possono aspettare autorizzaz­ioni dall’alto o la conclusion­e di articolati dibattiti. « Se si è uomini e donne liberi il recupero viene da sé e finché ce n’è non ti fermi » ( E. Venturo). Questo vale per persone da recuperare ma vale anche per valori, sogni e progetti perduti o sbiaditi perché « Dobbiamo pensare il paradiso non come è raffigurat­o dagli affreschi delle chiese, ma come recupero delle piccole cose, dei particolar­i, delle cose che appaiono a noi insignific­anti » ( P. De Benedetti).

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