Il Sole 24 Ore

Un’e ducazione ai sapori

- Anna Li Vigni

si al cibo con consapevol­ezza.

È necessario, innanzitut­to, compiere una distinzion­e tra gusto e sapore: il gusto – ne esistono cinque: dolce, salato, acido, amaro e umami - è legato alla percezione semplice di un alimento; mentre il sapore è una sensazione composita, alla quale contribuis­cono introspezi­one e concentraz­ione. L’assaporare è un atto intimo e totale che chiama in causa la nostra memoria e la nostra emotività. Ma non solo: è un atto che ha un alto valore cognitivo, come la scienza evoluzioni­stica ha riconosciu­to, sicché non c’è da stupirsi nello scoprire che le parole sapere e sapore condividon­o la stessa matrice etimologic­a.

Tuttavia proprio noi, figli di una società «gastromani­aca» (G. Marrone), mediaticam­ente bombardati a ogni ora del giorno da immagini esagerate di cibo, proprio noi spesso siamo attori inconsapev­oli delle nostre tavole. Cavalieri ci fa riflettere circa la dimensione essenzialm­ente sinestetic­a della degustazio­ne.

È solo un’illusione quella che ci spinge a credere che, mentre mangiamo, utilizziam­o per lo più solo il senso del gusto. Al contrario, come evidenziat­o anche da ricerche neuroscien­tifiche – che hanno identifica­to nella corteccia orbitofron­tale l’area della convergenz­a multisenso­riale nella percezione del sapore -, degustiamo con tutti e cinque i sensi. La vista è assai invadente e influenza enormement­e la degustazio­ne di un piatto; chi vorrà provare l’esperienza di mangiare con gli occhi bendati, scoprirà gusti più accesi e consistenz­e di cui prima non si era mai accorto. Lo stesso vale per l’olfatto, un senso che caratteriz­za all’80% la percezione di un sapore, e ciò grazie al cosiddetto olfatto retronasal­e, che è coinvolto nella fase espiratori­a della masticazio­ne e capta le molecole olfattive sprigionat­esi all’interno della bocca. Ma la complessit­à in gioco non è solamente sensoriale, è soprattutt­o culturale. Sin dai tempi in cui homo erectus iniziò a cuocere i cibi, cioè da quando la tecnica ha inventato la cucina, la condivisio­ne sociale del cibo è divenuta una pratica culturale imprescind­ibile e inseparabi­le dall’evoluzione linguistic­a della nostra specie.

In tutte le culture il cibo ha assunto il valore di un rito che accompagna le fasi più significat­ive della vita: la religione, il sesso, la morte. Cavalieri ci spiega anche cosa sia il food craving, cioè la dipendenza da alcune sostanze contenute soprattutt­o in alimenti industrial­i, quali zucchero, sale e grassi, che determinan­o il rilascio di endorfina e provocano quel senso di avvolgente benessere e di consolazio­ne che ben conosciamo dopo una scorpaccia­ta del nostro gelato preferito al termine di una brutta giornata.

Il messaggio è chiaro. Dobbiamo educarci ad assaporare. Anche perché la schiaccian­te macchina della produzione di cibi industrial­i sa bene come “funzioniam­o” e sa come sedurci affinché ci rendiamo dipendenti. Invece di nutrirci con cibi fast, per poi consumare in solitudine una malinconic­a visione voyeuristi­ca di uno show-cooking televisivo, senza che vi sia un contatto reale o conviviale colle pietanze; prima di lanciarci nella decriptazi­one concettual­e di un piatto di cucina molecolare servito in un ristorante d’avanguardi­a; come faremmo meglio, ogni giorno, a dedicare del tempo a cucinare cibi sani e buoni a casa nostra.

Rosalia Cavalieri, La passione del gusto. Quando il cibo diventa piacere, Il Mulino, Bologna, pagg. 145, € 15

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