Un’e ducazione ai sapori
si al cibo con consapevolezza.
È necessario, innanzitutto, compiere una distinzione tra gusto e sapore: il gusto – ne esistono cinque: dolce, salato, acido, amaro e umami - è legato alla percezione semplice di un alimento; mentre il sapore è una sensazione composita, alla quale contribuiscono introspezione e concentrazione. L’assaporare è un atto intimo e totale che chiama in causa la nostra memoria e la nostra emotività. Ma non solo: è un atto che ha un alto valore cognitivo, come la scienza evoluzionistica ha riconosciuto, sicché non c’è da stupirsi nello scoprire che le parole sapere e sapore condividono la stessa matrice etimologica.
Tuttavia proprio noi, figli di una società «gastromaniaca» (G. Marrone), mediaticamente bombardati a ogni ora del giorno da immagini esagerate di cibo, proprio noi spesso siamo attori inconsapevoli delle nostre tavole. Cavalieri ci fa riflettere circa la dimensione essenzialmente sinestetica della degustazione.
È solo un’illusione quella che ci spinge a credere che, mentre mangiamo, utilizziamo per lo più solo il senso del gusto. Al contrario, come evidenziato anche da ricerche neuroscientifiche – che hanno identificato nella corteccia orbitofrontale l’area della convergenza multisensoriale nella percezione del sapore -, degustiamo con tutti e cinque i sensi. La vista è assai invadente e influenza enormemente la degustazione di un piatto; chi vorrà provare l’esperienza di mangiare con gli occhi bendati, scoprirà gusti più accesi e consistenze di cui prima non si era mai accorto. Lo stesso vale per l’olfatto, un senso che caratterizza all’80% la percezione di un sapore, e ciò grazie al cosiddetto olfatto retronasale, che è coinvolto nella fase espiratoria della masticazione e capta le molecole olfattive sprigionatesi all’interno della bocca. Ma la complessità in gioco non è solamente sensoriale, è soprattutto culturale. Sin dai tempi in cui homo erectus iniziò a cuocere i cibi, cioè da quando la tecnica ha inventato la cucina, la condivisione sociale del cibo è divenuta una pratica culturale imprescindibile e inseparabile dall’evoluzione linguistica della nostra specie.
In tutte le culture il cibo ha assunto il valore di un rito che accompagna le fasi più significative della vita: la religione, il sesso, la morte. Cavalieri ci spiega anche cosa sia il food craving, cioè la dipendenza da alcune sostanze contenute soprattutto in alimenti industriali, quali zucchero, sale e grassi, che determinano il rilascio di endorfina e provocano quel senso di avvolgente benessere e di consolazione che ben conosciamo dopo una scorpacciata del nostro gelato preferito al termine di una brutta giornata.
Il messaggio è chiaro. Dobbiamo educarci ad assaporare. Anche perché la schiacciante macchina della produzione di cibi industriali sa bene come “funzioniamo” e sa come sedurci affinché ci rendiamo dipendenti. Invece di nutrirci con cibi fast, per poi consumare in solitudine una malinconica visione voyeuristica di uno show-cooking televisivo, senza che vi sia un contatto reale o conviviale colle pietanze; prima di lanciarci nella decriptazione concettuale di un piatto di cucina molecolare servito in un ristorante d’avanguardia; come faremmo meglio, ogni giorno, a dedicare del tempo a cucinare cibi sani e buoni a casa nostra.
Rosalia Cavalieri, La passione del gusto. Quando il cibo diventa piacere, Il Mulino, Bologna, pagg. 145, € 15