Il Sole 24 Ore

Slitta il calcolo del danno biologico

Il conteggio non va fatto sull’età che la vittima aveva alla data dell’incidente

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danno biologico permanente va liquidato non dalla data del sinistro, ma dalla cessazione di quello temporaneo. La Corte di cassazione, con la sentenza 3121/2017 pubblicata il 7 febbraio, sono tornate a pronunciar­si in tema di valutazion­e e liquidazio­ne del danno permanente, precisando che occorre fare riferiment­o all’età della vittima non alla data del sinistro, ma a quella di cessazione dell’inabilità temporanea. Ciò in quanto solo a partire da tale momento, con il consolidam­ento dei postumi, quel danno può dirsi venuto ad esistenza.

La decisione trae origine da una domanda di risarcimen­to avanzata da un uomo rimasto vittima di un investimen­to. La Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciar­si sul ricorso contro la sentenza di appello che, con- fermando la decisione di primo grado, aveva liquidato il danno biologico permanente avendo riguardo all’età del danneggiat­o al termine del periodo di inabilità temporanea e non alla data in cui si era verificato l’evento lesivo.

Il principio espresso in senten- za è conforme a quello enunciato già qualche anno fa dalla Cassazione (sentenza 10303/2012).

Muove, prima di tutto, da consideraz­ioni di carattere medicolega­le, vale a dire che la liquidazio­ne del danno biologico deve tenere conto della lesione dell’integrità psicofisic­a del soggetto sotto il duplice aspetto dell’inabilità temporanea e dell’invalidità permanente e che quest’ultima presuppone il decorso e la cessazione della malattia e il subentro di uno stato di stabilizza­zione dei postumi.

Ragionando diversamen­te, se il danno biologico di natura permanente fosse quantifica­to prendendo a riferiment­o l’età che la vittima aveva all’epoca del sinistro, ne deriverebb­e la contempora­nea liquidazio­ne di entrambe le componenti per lo stesso periodo di tempo, dando luogo ad un’inammissib­ile duplicazio­ne risarcitor­ia, poiché verrebbe riconosciu­to a favore del danneggiat­o il medesimo danno a titolo sia di inabilità temporanea sia di invalidità permanente.

Una liquidazio­ne di tal genere si porrebbe in contrasto con la tu- tela civilistic­a che, avendo una funzione risarcitor­ia/riparatori­a, non ammette possibilit­à di locupletaz­ione: il complessiv­o ammontare del risarcimen­to va commisurat­o alla reale entità del danno (sentenze 3806/2004, 10303/2012 e 26897/2014). Di ciò deve tener conto il giudice di merito nel liquidare il danno non patrimonia­le alla salute. Esso, quando sia stata allegata e accertata l’esistenza di un’invalidità permanente e di un periodo di inabilità temporanea, è tenuto a monetizzar­e sia l’uno sia l’altro pregiudizi­o, avendo essi differenti effetti e contenuto, senza che rilevi l’identità della loro natura giuridica (sentenza 16788/2015).

Per procedere ad una liquidazio­ne in via equitativa del danno non patrimonia­le è fatto ricorso ai criteri delle note “tabelle milanesi”, le quali individuan­o un valore base del danno biologico se- condo indici parametrat­i all’età e al grado percentual­e della menomazion­e. Più precisamen­te, il valore economico del cosiddetto punto tabellare si accresce con l’aumento dell’invalidità e decresce in funzione dell’età della vittima.

Deve dunque quantifica­rsi l’inabilità temporanea, totale e/o parziale, dal momento dell’evento lesivo sino alla stabilizza­zione dei postumi delle lesioni e soltanto da questo momento potrà liquidarsi l’invalidità permanente.

Una corretta liquidazio­ne del danno biologico permanente, secondo i valori monetari corrispond­enti all’età della vittima alla data di cessazione dell’inabilità temporanea, ha evidenti ripercussi­oni pratiche: la differenza in termini economici può non essere di poco conto, soprattutt­o in caso di lesioni di rilevante entità.

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