Sopravvive l’«extra» sulle cartelle
La Corte costituzionale non si pronuncia sull’aggravio del 10% semestrale sulle cartelle esattoriali che potrebbe indurre gli enti locali a ritardare la riscossione
Per ora la maggiorazione del 10% semestrale sulle multe stradali non pagate resta legittima: la Corte costituzionale (ordinanza 25/2017, depositata il 26 gennaio) non ha accolto i rilievi del Giudice di pace di Grosseto, secondo cui un aggravio del 20% all’anno è eccessivo e indurrebbe gli enti destinatari del gettito a ritardarne il recupero per massimizzare l’incasso. Ma, almeno in teoria, la questione non è chiusa qui: la Consulta ha solo deciso di rimettere gli atti all’ufficio giudiziario che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale.
La norma su cui è sorta la questione è l’articolo 27, comma 6, della legge 689/1981. Esso stabilisce che, quando una sanzione amministrativa pecuniaria (come la maggior parte di quelle previste dal Codice della strada) diventa definitiva e non viene pagata, la cartella di pagamento comprenderà la maggiorazione del 10% per ogni semestre trascorso dalla data in cui la somma è diventata esigibile e quella in cui il ruolo viene trasmesso all’esattore. Tale maggiorazione è sempre stata applicata, nonostante negli ultimi anni siano sorti dubbi sulla sua legittimità, ora fugati (si veda Il Sole 24 Ore del 7 febbraio).
Questi dubbi, però, non riguardavano né l’entità dell’aggravio né l’oggettivo incentivo che essa costituisce a ritardare l’emissione della cartella. A novembre 2015 un giudice di pace di Grosseto, Adriano Simonetti, ha posto il problema alla Consulta, osservando che la maggiorazione del 20% annuo avrebbe natura sanzionatoria, mentre in ambito tributario i morosi devono pagare interessi di mora limitati al 5%.
Nell’ordinanza di rimessione il giudice sottolineava poi che il 20%, se fossimo in ambito bancario, sarebbe un tasso da usura e che esso appare giustificato solo per il fatto che quando fu fissato (1981) l’inflazione era ai suoi massimi storici, a due cifre. Ma il diminuire dell’inflazione, che ha portato con sé anche il taglio degli interessi legali, ha reso la maggiorazione «incongrua e lesiva dell’articolo 3 della Costituzione» (il principio di uguaglianza tra tutti i cittadini). Sarebbe violato anche l’articolo 97 (principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione), per- ché gli enti impositori hanno «un irragionevole vantaggio» nel ritardare la trasmissione dei ruoli, a differenza di quanto accade in ambito tributario. Infine, le maggiorazioni riguardano perlopiù sanzioni di importo non rilevante dovuti da soggetti in difficoltà economiche, il che violerebbe anche gli articoli 2 (principio di libertà) e 53 (capacità contributiva) della Costituzione.
In risposta, l’Avvocatura dello Stato ha eccepito che l’ordinanza di rimessione sarebbe generica e infondata, soprattutto perché insiste col paragone tra questa maggiorazione che ha natura sanzionatoria e altri oneri che hanno invece natura fiscale, mentre le differenze tra i due casi sono giustificate dalla discrezionalità del legislatore nel disciplinare due materie eterogenee.
La Consulta decide di non affrontare questi temi, preferendo osservare che nel giudizio rimesso alla sua attenzione potrebbe influire la recente rottamazione delle cartelle (Dl 193/2016, articolo 6), che potrebbe alleggerire gli oneri per il ricorrente. Di qui la decisione di restituire gli atti al giudice rimettente. Che però, nella fattispecie, è andato in pensione e chi lo ha sostituito è ancora in attesa di conferma dal Csm. Per questo, appare poco probabile che torni a sollevare una questione di legittimità costituzionale partendo da questa causa.