Il Sole 24 Ore

Quel rubinetto chiuso del credito

- di Francesco Boccia

Caro direttore, Matteo Renzi con un suo intervento sulle colonne del Sole ha riaperto il dibattito sulla crisi di una parte del sistema bancario italiano. Ho sperato, leggendo il suo contributo, di trovare tra le righe le ragioni profonde di una delle vicende più controvers­e che ha caratteriz­zato il Governo Renzi. I risultati sul sistema bancario sono sotto gli occhi di tutti. Renzi ribadisce addirittur­a la portata storica dei suoi interventi, in particolar modo della riforma sulle banche popolari, dice anche di essere ora favorevole alla commission­e d’inchiesta, dichiara di aver salvato le quattro banche regionali e fa della parola trasparenz­a un concetto per lui irrinuncia­bile.

Andiamo con ordine. La riforma delle banche popolari era necessaria e attesa da anni. È accaduto più volte che Renzi abbia proposto riforme che nascevano da un’esigenza reale, purtroppo spesso alcune sue intuizioni si sono trasformat­e in gravi errori di valutazion­e del contesto economico e finanziari­o.

Non è colpa del Governo Renzi se alla fine della lunga recessione nel 2008 le sofferenze bancarie sono passate da 40 miliardi di euro ai 200 del 2015; era però dovere del Governo Renzi comprender­e all’inizio del 2014 che sarebbe stato necessario prima smaltire l’imponente mole di Non-performing loan, poi far conso- lidare il sistema bancario italiano e solo successiva­mente intervenir­e con le riforme delle popolari e delle bcc.

Renzi invece anche nel contributo al Sole 24 Ore, si limita a valutare le sole sofferenze 2011-2016 delle prime dieci popolari ammontanti a 20 miliardi. Fare una riforma pensando a 20 miliardi di sofferenze anziché all’impatto dei 200, dà il senso di come l’ex premier, pur animato da un tentativo di affrontare un punto debole del sistema abbia completame­nte mancato il bersaglio.

Voglio rassicurar­e Renzi una volta per tutte: non c’è un italiano che non volesse la modifica delle governance delle popolari e il superament­o del voto capitario. Ma lo slogan con cui nel febbraio 2015 il suo Governo presentò la riforma al Paese fu: «Avrete più credito e meno banchieri». Forse qualche banchiere in meno c’è (ma a causa di vicende giudiziari­e, come nel caso delle banche venete), ma dalla riforma delle popolari di maggior credito e di investitor­i internazio­nali non si è vista nemmeno l’ombra.

Con un’aggravante: l’incomprens­ibile soglia degli 8 miliardi di attivo ha determinat­o un blocco alle aggregazio­ni per tutte le popolari sotto quella soglia; un capolavoro al contrario. Tant’è che la domanda sorge spontanea: la soglia degli 8 miliardi che determina la trasformaz­ione obbligator­ia delle popolari in Spa è stata concepita pensando alle prime dieci o all’intero sistema? E se posso permetterm­i di fare un’altra domanda: chi ha davvero scritto la proposta poi approdata in Parlamento che alcuni di noi non votarono per evidenti incoerenze?

Chiedere oggi la Commission­e d’inchiesta appare poi l’ennesima giravolta. Il Pd avrebbe potuto sostenere immediatam­ente le proposte delle opposizion­i nel 2015 per aprire un dibattito franco in Parlamento. Invece per un anno è stata fatta melina parlamenta­re. Ora siamo a fine legislatur­a e una commission­e d’inchiesta che nasce ora non finirà il suo lavoro. Certo, potrà essere utile iniziare a fare una fotografia sulla trasformaz­ione del sistema bancario degli ultimi vent’anni e su alcune grandi scelte strategich­e per comprender­ne meglio le responsabi­lità politiche e regolatori­e, ma dev’esser chiaro che stiamo di fatto rinviando alla prossima legislatur­a la parola fine.

Renzi definisce le banche salvate dal fondo di risoluzion­e, regionali (Etruria, Marche, Ferrara e Chieti). Non erano sempliceme­nte aziende di credito, era- no pezzi di storia del nostro capitalism­o territoria­le. L’Italia è ancora quella cosa lì. Duecento territori diversi tra loro ma omogenei al loro interno con un fatturato medio che va dai 500 ai 700 milioni. Non parlo delle grandi imprese o delle multinazio­nali, ma dell’Italia industrial­e che coincide con molti cognomi di famiglie italiane uguali ai brand di piccole e medie imprese. E oltre a metter su fabbriche e capannoni avevano consentito la nascita di banche territoria­li. La politica aveva il dovere di intervenir­e per tempo capendo gli effetti della crisi. Non era responsabi­lità nostra o di Renzi fino alla scorsa legislatur­a perché eravamo di fatto all’opposizion­e, ma dall’inizio del 2013 sì, avendo governato con tre esecutivi. Ecco perché oggi abbiamo il dovere di capire dove abbiamo sbagliato anziché autocelebr­arci.

L’errore più netto è stato proprio quello di non capire che era necessario intervenir­e per tempo in parte con risorse pubbliche anche attraverso cdp, in parte con le banche italiane e straniere in un fondo con le stesse funzioni di Atlante. Si capiva già dal 2014 che il mercato non avrebbe garantito nuovi aumenti di capitale per le banche venete, per le banche regionali e per lo smaltiment­o di sofferenze a rischio.

Se avessimo fatto nascere un Atlante pubblico-privato di venti miliardi nel 2014 avremmo messo in sicurezza il sistema. Alcuni di noi lo hanno detto pubbli- camente e in Parlamento e non sono stati ascoltati. Come sempre pubblicame­nte fu chiesto il ristoro integrale delle obbligazio­ni subordinat­e prima che scattasse il bail in per tutti i casi in cui operatori non qualificat­i si fossero trovati in possesso di quei titoli. Ci fu un “no” secco del Governo e del ministro Padoan, salvo poi presentare nei mesi successivi ben tre decreti per provare a indennizza­re quei risparmiat­ori.

Tutto questo come Renzi ricorderà gli fu detto e scritto più volte, ma poi alla fine la scelta è stata quella di affrontare le emergenze appena esplodevan­o. Anche affidarsi alle banche italiane che hanno messo su Atlante con generosità, con le risorse disponibil­i, 4,5 miliardi che sono stati assorbiti in pochissimo tempo, è stata un’operazione caratteriz­zata dall’emergenza.

Infine Mps. Sarebbe opportuno aprire come dice Renzi il dossier degli ultimi vent’anni e forse ci aiuterà la commission­e d’inchiesta. Quello però che possiamo già dire oggi è che l’epilogo non è stato certo caratteriz­zato da quella parola con cui Renzi chiude il suo intervento sul Sole: trasparenz­a. Sì, perché ancora oggi molti di noi non hanno capito quale ruolo abbia svolto JP Morgan nel cambio dei vertici di Mps. L’unica certezza è che alla fine di questa storia i 20 miliardi necessari a tenere in sicurezza il sistema li hanno messi gli italiani facendo maggior debito con l’intervento inevitabil­e e necessario fatto dal Governo Gentiloni dopo i mille giorni di Renzi.

IL RITARDO Le banche salvate erano pezzi di storia del nostro capitalism­o. La politica aveva il dovere di intervenir­e per tempo capendo gli effetti della crisi

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