Il Sole 24 Ore

Un passo indietro di vent’anni

- di Franco Debenedett­i

Consummatu­m est. Non si salvano più neppure le apparenze. Era sembrato che, per evitare il referendum per l’abolizione dei voucher, questi restassero per l’improbabil­e uso domestico e per i lavori intermit- tenti. Ma ha prevalso la paura che questo non basti, l’ansia di evitare anche la minima possibilit­à che la Corte di Cassazione lo ritenga non sufficient­e ad evitare il ricorso al voto popolare.

Inoltre la paura che questo possa galvanizza­re gli oppositori per ripartire ad attaccare anche quel che resta del Jobs Act, l’abolizione dell’art. 18, sono stati tali da indurre il capogruppo del Pd, Ettore Rosato a presentare la proposta di recepire in tutto i quesiti referendar­i: per i voucher, abolizione totale (al massimo lasciando la possibilit­à di uso per le famiglie); per gli appalti, responsabi­lità solidale dell’appaltante. Per «evitare distorsion­i» è la giustifica­zione ufficiale. Il Pd è di nuovo il partito della Cgil: fine della “distorsion­e”. Un passo indietro di vent’anni; anzi peggio, nessuno oggi che sappia dire “Dottoressa Camusso!”: D’Alema, adesso, è dall’altra parte.

E potrebbe perfino non essere finito qui. Perché anche questa iniziativa referendar­ia, come quella precedente bocciata dalla Corte, volta ad estendere l’art. 18 anche alle aziende con più di 5 dipendenti, aveva la neppur tanto segreta intenzione di far da traino al vero obbiettivo della Cgil, la “carta dei diritti universali del lavoro”: un titolo che riecheggia la “Dichiarazi­one dei dritti universali dell’uomo” del 1948, con Susanna Camusso nel ruolo che allora fu di Eleonore Roosevelt. Un testo di 87 articoli grazie a cui i lavoratori godrebbero «dei più avanzati diritti di quelli mai concepiti da mente umana, ma le aziende chiuderebb­ero e gli imprendito­ri che possono farlo, fuggirebbe­ro altrove», come scrive Giuliano Cazzola sul Foglio. Un proposito assurdo, un’iniziativa che dovrebbe essere considerat­a nient’altro che il portato di una minoranza nostalgica di un tempo passato, con specializz­azioni industrial­i, sistemi produttivi, rapporti economici che non esistono più.

E poi vorremmo parlare di innovazion­e, di applicazio­ne di nuove tecnologie, di start-up. Ma la sharing economy è fatta di modi per usare più razionalme­nte, grazie anche alla tecnologia, ciò che già esiste e non viene sfruttato, di algoritmi che estraggono valore organizzan­do i dati che continuame­nte produciamo, di piattaform­e che permettono di sfruttare più intensamen­te i beni che possediamo, di modi di ridurre tempi e costi per ottener beni e servizi. Anche i voucher potrebbero essere un modo di usare la disponibil­ità di lavoro e il capitale umano oggi utilizzato in modo non trasparent­e: bisognereb­be cercare di usare la tecnologia per inventarsi il modo di rendere il loro uso più qualificat­o, garantito e flessibile.

Conta, e resta, il segno dei messaggi che si mandano. E quelli usati contro i voucher vanno tutti nella direzione sbagliata. Si è usato il vecchio trucco di usare numeri grandi per raccontare storie false: i 134 milioni di voucher venduti nel 2016 paiono tanti, sono meno dell’1% rispetto alla decina di miliardi di ore di lavoro complessiv­e annue in Italia. Li si è demonizzat­i dicendo che servono per sostituire lavoro “regolare”: certo che nella massa si nascondono anche casi del genere, ma quanti sono rispetto al lavoro in nero, senza contributi e senza assicurazi­one che c’erano prima della loro introduzio­ne, e ci saranno con la loro eliminazio­ne? Si sono accusati i padroni di volerli usare per pagar di meno: ma i motivi economici sono sempre un tentativo di sfruttamen­to dei lavoratori? Dei costi che si vuole evitare quanti sono quelli contributi­vi e quanti quelli di adeguament­o alle complessit­à burocratic­he? Invece di metter le mani su questo che è uno dei difetti maggiori del mercato del lavoro, si vogliono eliminare i buoni lavoro che offrono un’opportunit­à di semplifica­zione degli adempiment­i burocratic­i ed amministra­tivi. Serviva altro per dimostrare che l’abolizione dei voucher danneggia lavoratori e imprese?

Ma è il dato politico quello che fa impression­e. La fine che fa un progetto politico, le riforme renziane, che ha appassiona­to milioni di elettori, non solo i mitici e lontani 41% delle europee, ma anche il 40% degli elettori che hanno votato sì il 4 Dicembre. Sono loro, la loro aspettativ­a che si trattasse davvero della svolta riformista, i veri sconfitti in questa che è una partita tutta interna alla sinistra. Sembra quasi ci fosse premeditaz­ione nei transfughi di Movimento Democrazie e Progresso quando anteposero nella loro sigla il richiamo all’articolo 1 della Costituzio­ne. E che la causa referendar­ia venisse fatta propria dal più disinibito degli avversari di Renzi all’interno del Pd stesso, Michele Emiliano, anche questo era prevedibil­e.

Tutto vento che gonfia le vele al M5S: questi, non avendo un progetto organico, non devono subire lacerazion­i, passare attraverso tormenti identitari per raccoglier­e naturalite­r proteste e scontenti, gli uni e le altre convoglian­do a sostegno delle sue salvifiche proposte, reddito di cittadinan­za e uscita dall’euro. Così il Pd finisce per lavorare per il re di Prussia.

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