L’esdebitazione «libera» anche dal debito con il fisco
pEsdebitazione a tutto campo. Fino a comprendere anche i debiti Iva. Non ci sono ostacoli sul piano della disciplina comunitaria alla previsione di una liberazione anche dai debiti Iva per l’imprenditore fallito. A sdoganare anche su questo piano uno degli istituti più innovativi della riforma fallimentare è adesso la Corte di giustizia Ue con la sentenza nella causa C-493/15.
Con l’esdebitazione l’intenzione è quella di mettere in campo una soluzione per premiare l’imprenditore che ha conservato una condotta corretta nel corso di tutto il procedimento permettendogli di ripartire da zero nella sua attività cancellando tutti i debiti rimasti ( fresh start). In particolare il debitore non deve avere già usufruito del beneficio nei 10 anni precedenti, non deve essere stato condannato per bancarotta fraudolenta o reati economici, deve essere stato cooperativo e diligente durante tutta la procedura concorsuale. L’azzeramento è concesso dall’autorità giudiziaria ma l’inesigibilità dei debiti residui può essere contestata dal Pm o dai creditori insoddisfatti.
Per quanto riguarda debiti Iva, questi non sono espressamente esclusi dal perimetro dei debiti che vengono cancellati con l’esdebitazione. Di qui il nascere della questione sottoposta alla Corte Ue, dopo che l’Agenzia delle entrate aveva emesso contro un imprenditore una cartella di pagamento chiedendogli di versare importi a titolo di Iva e Irap per l’anno d’imposta 2003. La commissione tributaria aveva dichiarato illegittima la cartella e la pretesa di pagamento constatando l’intervenuta esdebitazione.
La Cassazione, chiamata in causa per effetto del ricorso del- l’agenzia delle Entrate, aveva poi sottoposto agli eurogiudici un duplice quesito: se la normativa italiana sul punto fosse in contrasto con la direttiva 77/388 sull’armonizzazione delle regole sulle imposte sulla cifra d’affari e se, in qualche modo, l’esdebitazione non costituisce un aiuto di Stato.
Nell’affrontare la questione non può che rifarsi a alla sentenza di un anno fa (7 aprile 2016, causa C-546/14), che aveva stabilito la compatibilità con il diritto comunitario della legge fallimentare italiana nella parte in cui permette la proposta di un concordato preventivo che prevede il pagamento solo parziale dell’Iva. Sì quindi a una disponibilità, entro certe condizioni, del debito Iva da parte dell’imprenditore: il meccanismo del concordato preventivo con versamento solo parziale dell’imposta non ha come conseguenza, chiariva allora la Corte, una rinuncia generale e indiscriminata al diritto dovere di riscuotere l’imposta.
Con la pronuncia depositata ieri, la Corte si pone su questa linea e riconosce che la disciplina tricolore dell’esdebitazione, analogamente a quella del concordato, è assoggettata a condizioni di applicazione rigorose che offrono garanzie sufficienti per la riscossione dei crediti Iva e che, tenuto conto di queste condizioni, non si configura una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione del credito, nessuna contrarietà poi all’obbligo di tutti gli Stati membri di assicurare una piena e integrale corresponsione del tributo.
Escluso poi che l’esdebitazione si configuri come un aiuto di Stato. A mancare è uno degli elementi costitutivi e cioè quello della selettività del vantaggio. L’esdebitazione, infatti, non ha come obiettivo quello di favorire solo alcune imprese o produzioni rispetto ad altre che si trovano in una situazione di fatto e di diritto analoga. Non viene pertanto istituito un trattamento differenziato, idoneo a essere qualificato come discriminatorio.