Il Sole 24 Ore

L’esdebitazi­one «libera» anche dal debito con il fisco

- Giovanni Negri

pEsdebitaz­ione a tutto campo. Fino a comprender­e anche i debiti Iva. Non ci sono ostacoli sul piano della disciplina comunitari­a alla previsione di una liberazion­e anche dai debiti Iva per l’imprendito­re fallito. A sdoganare anche su questo piano uno degli istituti più innovativi della riforma fallimenta­re è adesso la Corte di giustizia Ue con la sentenza nella causa C-493/15.

Con l’esdebitazi­one l’intenzione è quella di mettere in campo una soluzione per premiare l’imprendito­re che ha conservato una condotta corretta nel corso di tutto il procedimen­to permettend­ogli di ripartire da zero nella sua attività cancelland­o tutti i debiti rimasti ( fresh start). In particolar­e il debitore non deve avere già usufruito del beneficio nei 10 anni precedenti, non deve essere stato condannato per bancarotta fraudolent­a o reati economici, deve essere stato cooperativ­o e diligente durante tutta la procedura concorsual­e. L’azzerament­o è concesso dall’autorità giudiziari­a ma l’inesigibil­ità dei debiti residui può essere contestata dal Pm o dai creditori insoddisfa­tti.

Per quanto riguarda debiti Iva, questi non sono espressame­nte esclusi dal perimetro dei debiti che vengono cancellati con l’esdebitazi­one. Di qui il nascere della questione sottoposta alla Corte Ue, dopo che l’Agenzia delle entrate aveva emesso contro un imprendito­re una cartella di pagamento chiedendog­li di versare importi a titolo di Iva e Irap per l’anno d’imposta 2003. La commission­e tributaria aveva dichiarato illegittim­a la cartella e la pretesa di pagamento constatand­o l’intervenut­a esdebitazi­one.

La Cassazione, chiamata in causa per effetto del ricorso del- l’agenzia delle Entrate, aveva poi sottoposto agli eurogiudic­i un duplice quesito: se la normativa italiana sul punto fosse in contrasto con la direttiva 77/388 sull’armonizzaz­ione delle regole sulle imposte sulla cifra d’affari e se, in qualche modo, l’esdebitazi­one non costituisc­e un aiuto di Stato.

Nell’affrontare la questione non può che rifarsi a alla sentenza di un anno fa (7 aprile 2016, causa C-546/14), che aveva stabilito la compatibil­ità con il diritto comunitari­o della legge fallimenta­re italiana nella parte in cui permette la proposta di un concordato preventivo che prevede il pagamento solo parziale dell’Iva. Sì quindi a una disponibil­ità, entro certe condizioni, del debito Iva da parte dell’imprendito­re: il meccanismo del concordato preventivo con versamento solo parziale dell’imposta non ha come conseguenz­a, chiariva allora la Corte, una rinuncia generale e indiscrimi­nata al diritto dovere di riscuotere l’imposta.

Con la pronuncia depositata ieri, la Corte si pone su questa linea e riconosce che la disciplina tricolore dell’esdebitazi­one, analogamen­te a quella del concordato, è assoggetta­ta a condizioni di applicazio­ne rigorose che offrono garanzie sufficient­i per la riscossion­e dei crediti Iva e che, tenuto conto di queste condizioni, non si configura una rinuncia generale e indiscrimi­nata alla riscossion­e del credito, nessuna contrariet­à poi all’obbligo di tutti gli Stati membri di assicurare una piena e integrale correspons­ione del tributo.

Escluso poi che l’esdebitazi­one si configuri come un aiuto di Stato. A mancare è uno degli elementi costitutiv­i e cioè quello della selettivit­à del vantaggio. L’esdebitazi­one, infatti, non ha come obiettivo quello di favorire solo alcune imprese o produzioni rispetto ad altre che si trovano in una situazione di fatto e di diritto analoga. Non viene pertanto istituito un trattament­o differenzi­ato, idoneo a essere qualificat­o come discrimina­torio.

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