L’oro torna a correre: oltre 1.230 dollari dopo la stretta
Non c’è due senza tre. L’oro anche stavolta – come a dicembre 2015 e dicembre 2016 – ha reagito in modo controintuitivo al rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve: le quotazioni, invece di indebolirsi, come insegnano i manuali di economia, sono salite. E non poco.
La soglia dei 1.200 dollari l’oncia, che scricchiolava da tempo, non solo non ha ceduto, ma sembra aver fatto da trampolino: il lingotto è balzato di oltre l’1% subito dopo l’annuncio della stretta monetaria e ha continuato ad apprezzarsi anche ieri, fino a raggiungere un picco di 1.233 $ sul mercato spot londinese. La spiegazione almeno in parte è banale: gli investitori hanno veduto oro (e comprato dollaro) sull’attesa della Fed e poi hanno comprato metallo (e venduto il biglietto verde) sulla notizia. Stavolta il trading era più affollato del solito.
Raramente un rialzo dei tassi era stato telegrafato in modo così chiaro e inequivocabile. Di fronte a una scommessa così facile i fon- di – e anche una massa di piccoli investitori – si erano spostati un po’ troppo verso posizioni ribassiste: un indizio era visibile nella netta riduzione, nelle ultime settimane, delle posizioni nette lunghe (all’acquisto) dei money manager al Comex di New York. Il tono “da colomba” del comunicato della Fed e delle dichiarazio- ni di Janet Yellen hanno provocato un’ondata di ricoperture: un riacquisto di contratti, a prezzi via via più elevati (la mossa contraria è avvenuta col dollaro, che infatti si è indebolito).
Nei tre mesi successivi a dicembre 2015 , quando la Fed aveva fatto una plateale marcia indietro rispetto ai programmi di stretta monetaria, il prezzo dell’oro era risalito addirittura del 18%. Stavolta non c’è stato un analogo capovolgimento : le autorità monetarie Usa confermano di puntare a due ulteriori rialzi dei tassi nel 2017. Ma il linguaggio, osservano molti analisti, è diventato più cauto.
Secondo Ubs, da mercoledì sera lo scenario si è fatto più rialzista per l’oro, tanto che le quotazioni potrebbero spingersi fino a 1.300 $ entro fine anno. Wayne Gordon, responsabile Materie prime e valute per la divisione Wealth management della banca svizzera, sostiene che «Yellen è stata molto, molto chiara» nel delineare un approccio prudente nei prossimi 3-6 mesi, con ottimismo nei confronti dell’economia ma un occhio vigile rispetto all’inflazione che è tornata a salire. «I tassi di interesse reali negli Usa – avverte Gordon – scenderanno ancora più a fondo in territorio negativo Questo significa un dollaro più debole e significa un miglior prezzo dell’oro».
Non tutti sono altrettanto positivi sulle sorti del metallo giallo. Société Générale pensa ad esempio che le quotazioni scenderanno in media a 1.125 $/oncia nel quarto trimestre. Ole Hansen, commodity strategist di Saxo Bank, ritiene invece che i corsi dell’oro siano destinati a stabilizzarsi, nonostante il sostegno fornito dalla ricerca di beni rifugio. Dopo lo scampato pericolo delle elezioni olandesi «ci sono molti altri temi caldi che potrebbero attirare domanda per i metalli preziosi», riconosce Hansen, ma «è probabile che questa non sarà guidata dalla ricerca di profitto, quanto dalla necessità di diversificare i rischi attraverso varie asset class».