Il vero nodo resta la misura del bilancio Fed
«Abbiamo discusso se cambiare la politica di reinvestimento dei proventi dei titoli che abbiamo in portafoglio, ma non abbiamo ancora preso una decisione. Continueremo a farlo anche nelle riunioni successive, mantenendo fede al principio che il processo di normalizzazione del nostro bilancio sarà graduale e prevedibile». Forse sono state proprio queste parole, improntate a una cautela non indifferente e pronunciate due giorni fa da Janet Yellen a determinare l’indebolimento del dollaro, l’avanzata di Wall Street e il momentaneo rimbalzo dei titoli di Stato Usa.
Quello della misura e della possibile riduzione del bilancio della Federal Reserve è infatti il tema centrale della politica monetaria americana (e non solo) forse anche più delle stesse manovre sui tassi. Contrariamente a quanto si possa pensare, da quando la Banca centrale Usa ha interrotto il «Qe» e smesso di acquistare i Treasury e gli altri asset previsti dal piano, il valore del portafoglio detenuto dalla stessa Fed non è sceso, ha semplicemente smesso di crescere e si è stabilizzato poco sopra 4.500 miliardi di dollari. Stessa storia quando Yellen ha iniziato ad aumentare i tassi, e il motivo è semplice: man mano che i titoli acquistati in precedenza giungevano a scadenza, Washington ha reinvestito la stessa cifra acquistandone di nuovi e continua a farlo.
Finché la situazione resta tale anche la liquidità in eccesso sui mercati si mantiene su livelli record, cosa che contribuisce a spie- gare l’euforia degli investitori, ma è inevitabile che prima o poi anche il bilancio Fed dovrà stringere la cinghia. «Ridurlo rinforzerebbe l’impatto della normalizzazione dei tassi di interesse a breve», spiega Gianluigi Mandruzzato di Bsi, proprio a sottolineare il fatto che con un aggiustamento del bilancio la Banca centrale Usa potrebbe agire in misura minore sulla leva dei tassi a breve termine, evitando fra l’altro l’eccessivo (e indesiderato) rafforzamento del dollaro che questo comporta.
Il rovescio della medaglia è che la reazione dei mercati a un dimagrimento del portafoglio Fed è tutt’altro che prevedibile (basta pensare a quale sia stata la risposta alle prime indicazioni di tapering del «qe» nel 2013), a maggior ragione se si considera che si viaggia su un terreno del tutto inesplorato. Ciò che finirebbe sul piatto non sono del resto briciole: nel 2017 la Fed dovrebbe reinvestire circa 52 miliardi di dollari ogni trimestre, una cifra destinata a raddoppiare (107 miliardi) l’anno prossimo. E se tutto ciò dovesse improvvisamente mancare una risalita dei tassi a lungo termine sarebbe inevitabile.
Gli analisti di Bsi (gruppo Efg) provano a quantificare un simile impatto e stimano che per ogni 100 miliardi in meno nel bilancio Fed i rendimenti del Treasury decennale potrebbero subire un aumento medio di 6 centesimi. «Se si considera che entro la fine del 2019 andranno a scadenza titoli di Stato per più di 900 miliardi, i rendimenti Usa a lungo termine potrebbero subire una spinta al rialzo di 55 punti base superiore a quanto sarebbe altrimenti accaduto», sottolinea ancora Mandruzzato: un effetto non da poco quando si pensa che in questa fase gli analisti si stanno interrogando se sia il 2,6% o piuttosto il 3% il livello del decennale americano da tenere d’occhio per una possibile inversione della tendenza in atto sui listini.
Proprio per questo Yellen è an- data con i piedi di piombo sul tema due giorni fa e continuerà probabilmente a farlo nei prossimi mesi. La Fed, del resto, non dovrà necessariamente azzerare in un colpo solo i reinvestimenti dei titoli acquistati con il «qe» e giunti nel frattempo a scadenza. Potrebbe per esempio decidere di reimpiegare soltanto una frazione di quei proventi, oppure anche procedere a una mossa esattamente contraria rispetto all’operazione «twist» di qualche anno fa, vendendo Treasury a lungo termine e acquistando titoli a breve: «Abbassare la scadenza media del portafoglio ridurrebbe i rischi di duration della Fed e la aiuterebbe ad alleggerire il peso della normalizzazione della politica monetaria sui tassi dei Fed Funds», conferma Mandruzzato. L’importante, in questi casi, è muoversi a piccoli passi, e soprattutto comunicarlo in anticipo al mercato: «Graduale e prevedibile», parola di Yellen.
IL RISCHIO SUI TREASURY Se Washington smettesse di reinvestire il denaro in arrivo dai titoli in scadenza il tasso del decennale Usa salirebbe di 55 centesimi da qui al 2019