Il velato monito dei Treasury sulla crescita americana
Guardando la reazione immediata dei mercati mercoledì sera, viene da porsi una domanda provocatoria: la Federal Reserve ha alzato o abbassato i tassi d’interesse Usa? Perché a guardare il balzo di Wall Street, il calo dei rendimenti sui titoli di Stato americani e la frenata del dollaro, sembrerebbe quasi che il mercato abbia in un primo momento interpretato la «stretta» monetaria di Janet Yellen (che mercoledì sera ha alzato i tassi ufficiali di 25 centesimi) quasi come se fosse un «allentamento» monetario. Sembra che Wall Street abbia ingoiato quella che dovrebbe essere un’amara pillola come se fosse una caramella. È vero che questo rialzo dei tassi era ampiamente atteso. È vero anche che a Wall Street si temeva un comunicato più duro da parte di Janet Yellen, per cui le sue parole sono alla fine risultate rassicuranti. È vero anche che ieri c’è stato un lieve ritracciamento di Borse e bond. Ma a guardare i valori che i mercati esprimono, viene comunque il dubbio che ci sia anche qualcos’altro: cioè che gli investitori inizino ad essere dubbiosi sulla effettiva forza della crescita economica americana.
La cartina di tornasole è rappresentata dai titoli di Stato. L’ultimo dato sul costo della vita negli Usa ha mostrato un surriscaldamento dei prezzi al consumo pari al 2,7%. Gli economisti prevedono in media che l’inflazione americana si attesterà al 2,5% nel 2017 e al 2,3% nel 2018. Quindi i titoli di Stato Usa, che per la scadenza a 12 mesi hanno oggi un rendimento dello 0,99% e per quella biennale dell’1,3%, quotano con tassi reali ampiamente negativi. Anche i Treasury decennali hanno rendimenti bassi (2,5%), se si considera che la Fed annuncia di voler portare i tassi ufficiali al 3% nel lungo termine. Insomma: il mercato dei bond, nonostante l’aumento dei rendimenti degli ultimi mesi, mostra tutt’ora livelli non del tutto coerenti con le aspettative su inflazione e tassi Fed.
Sembra dunque che gli investitori non credano davvero che l’economia americana possa crescere in maniera così robusta come si sperava. Questa convinzione è maturata da un lato perché gli ultimi dati economici hanno mostrato una perdita di slancio dell’economia Usa. Soprattutto la crescita tutt’ora negativa dei salari reali (in un’economia come quella americana trainata al 70% dai consumi interni) desta preoccupazione. Dall’altro perché anche la «bacchetta magica» di Donald Trump, cioè l’annunciatissimo taglio delle tasse alle imprese, tarda ad arrivare.
Così mentre Wall Street corre (sperando in Trump ma anche in una Fed meno aggressiva del previsto), i titoli di Stato americani lanciano un velato monito. Senza clamore. È difficile stabilire se questo possa essere il segnale che anche l’esuberanza di Wall Street sia destinata a calmarsi presto o tardi. Di certo però, eliminato il rischio Olanda e con maggior tranquillità riguardo alla Francia, sempre più investitori iniziano a guardare più alle Borse europee che a quelle d’oltreoceano.