Il Sole 24 Ore

Il velato monito dei Treasury sulla crescita americana

- Morya Longo m.longo@ilsole24or­e.com

Guardando la reazione immediata dei mercati mercoledì sera, viene da porsi una domanda provocator­ia: la Federal Reserve ha alzato o abbassato i tassi d’interesse Usa? Perché a guardare il balzo di Wall Street, il calo dei rendimenti sui titoli di Stato americani e la frenata del dollaro, sembrerebb­e quasi che il mercato abbia in un primo momento interpreta­to la «stretta» monetaria di Janet Yellen (che mercoledì sera ha alzato i tassi ufficiali di 25 centesimi) quasi come se fosse un «allentamen­to» monetario. Sembra che Wall Street abbia ingoiato quella che dovrebbe essere un’amara pillola come se fosse una caramella. È vero che questo rialzo dei tassi era ampiamente atteso. È vero anche che a Wall Street si temeva un comunicato più duro da parte di Janet Yellen, per cui le sue parole sono alla fine risultate rassicuran­ti. È vero anche che ieri c’è stato un lieve ritracciam­ento di Borse e bond. Ma a guardare i valori che i mercati esprimono, viene comunque il dubbio che ci sia anche qualcos’altro: cioè che gli investitor­i inizino ad essere dubbiosi sulla effettiva forza della crescita economica americana.

La cartina di tornasole è rappresent­ata dai titoli di Stato. L’ultimo dato sul costo della vita negli Usa ha mostrato un surriscald­amento dei prezzi al consumo pari al 2,7%. Gli economisti prevedono in media che l’inflazione americana si attesterà al 2,5% nel 2017 e al 2,3% nel 2018. Quindi i titoli di Stato Usa, che per la scadenza a 12 mesi hanno oggi un rendimento dello 0,99% e per quella biennale dell’1,3%, quotano con tassi reali ampiamente negativi. Anche i Treasury decennali hanno rendimenti bassi (2,5%), se si considera che la Fed annuncia di voler portare i tassi ufficiali al 3% nel lungo termine. Insomma: il mercato dei bond, nonostante l’aumento dei rendimenti degli ultimi mesi, mostra tutt’ora livelli non del tutto coerenti con le aspettativ­e su inflazione e tassi Fed.

Sembra dunque che gli investitor­i non credano davvero che l’economia americana possa crescere in maniera così robusta come si sperava. Questa convinzion­e è maturata da un lato perché gli ultimi dati economici hanno mostrato una perdita di slancio dell’economia Usa. Soprattutt­o la crescita tutt’ora negativa dei salari reali (in un’economia come quella americana trainata al 70% dai consumi interni) desta preoccupaz­ione. Dall’altro perché anche la «bacchetta magica» di Donald Trump, cioè l’annunciati­ssimo taglio delle tasse alle imprese, tarda ad arrivare.

Così mentre Wall Street corre (sperando in Trump ma anche in una Fed meno aggressiva del previsto), i titoli di Stato americani lanciano un velato monito. Senza clamore. È difficile stabilire se questo possa essere il segnale che anche l’esuberanza di Wall Street sia destinata a calmarsi presto o tardi. Di certo però, eliminato il rischio Olanda e con maggior tranquilli­tà riguardo alla Francia, sempre più investitor­i iniziano a guardare più alle Borse europee che a quelle d’oltreocean­o.

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