Il Sole 24 Ore

Nuovo blocco del bando ai migranti

- M.Val.

giudici americani passano al contrattac­co sul decreto di Donald Trump contro gli immigrati islamici. A distanza di poche ore, un magistrato federale delle Hawaii e un suo collega del Maryland hanno bocciato e sospeso su scala nazionale il nuovo ordine esecutivo della Casa Bianca che vietava temporanea­mente l’ingresso a cittadini di sei Paesi musulmani considerat­i dall’amministra­zione a rischio terrorismo, e sospendeva gli arrivi di rifugiati.

I giudici - soprattutt­o Derrick Watson delle Hawaii in 43 pagine - hanno impugnato il provvedime­nto e il divieto a nuovi visti per tre mesi e a tutti i profughi per quattro nel giorno in cui sarebbe dovuto entrare in vigore. Entrambi hanno alzato il tiro delle critiche: hanno esplicitam­ente citato nelle motivazion­i l’intento discrimina­torio ai danni dei musulmani espresso da Trump e dai collaborat­ori nei mesi precedenti e preparator­i alla misura. Sono state messe agli atti prese di posizione sue e della sua campagna presidenzi­ale, del calibro che l’Islam «ci odia» e che serve «una totale chiusura dei confini ai musulmani». Il giudice del Maryland, Theodore Chuang, ha respinto il bando ai visti ma non si è pronunciat­o sui rifugiati.

Trump ha reagito con livore. «Combatterò la decisione fino in fondo», ha tuonato già giovedì notte durante un comizio a Nashville preannunci­ando ricorsi. Ha accusato i magistrati di fare politica e affermato che lo stop alla sua iniziativa «ci fa apparire deboli». Ancora: «La minaccia è chiara, la legge è chiara e la necessità del mio ordine è chiara».

Ma il presidente è incappato ieri in altri, gravi passi falsi che potrebbero minare la credibilit­à della sua risposta quando si tratta di difendere la legalità e di lanciare allarmi su rischi. I leader repubblica­ni e democratic­i della Commission­e Intelligen­ce del Senato hanno messo nero su bianco una secca smentita delle accuse mosse da Trump a Barack Obama, che lo avrebbe fatto spiare. Accusa che aveva evocato lo spettro di un nuovo scandalo Watergate. «Non c'è indicazion­e che Trump Tower fosse sotto sorveglian­za di qualunque genere da parte di organismi del governo americano» prima o dopo le elezioni, hanno concluso il repubblica­no Richard Burr e il democratic­o Mark Warner. Nel frattempo è venuto anche alla luce che l’ex Consiglier­e per la sicurezza nazionale, Mike Flynn, era stato pagato oltre 50.000 dollari da società russe prima di entrare in carica. Il Congresso inda- ga su eventuali collusioni tra la campagna Trump e Mosca.

Lo schiaffo giunto dai magistrati sull’immigrazio­ne è stato altrettant­o duro. La consideraz­ione dell’intento e del contesto discrimina­torio - quindi in violazione della Costituzio­ne - dell’azione della Casa Bianca ha svuotato per ora il tentativo di Trump di far rispettare una versione corretta e ammorbidit­a di un originale ordine contro i rifugiati e i cittadini di sette Paesi islamici che era stato respinto per probabile incostituz­ionalità. Trump, nel rivedere il decreto, aveva eliminato la retroattiv­ità, che aveva portato alla cancellazi­one di 60mila visti già concessi. Aveva inoltre rinunciato a facilitazi­oni per l’asilo ai cristiani in fuga da nazioni a maggioranz­a islamica, evitato una messa al bando permanente dei rifugiati siriani e cancellato l’Iraq dalla lista dei Paesi a rischio: Siria, Iran, Libia, Sudan, Somalia e Yemen.

NON È UN ALTRO WATERGATE La commission­e del Senato, guidata da un repubblica­no, sostiene che non ci sono indicazion­i di intercetta­zioni come denunciato da Trump

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