Il Sole 24 Ore

Armani sponsor dei giovani registi

Per il terzo anno lo stilista finanzia e premia cinque «corti» multicultu­rali

- Di Giulia Crivelli

a «La vita è affascinan­te: basta solo guardarla attraverso gli occhiali giusti», diceva Alexandre Dumas figlio. Giorgio Armani sembra essersi ispirato alle parole dello scrittore francese per il progetto Films of City Frames, legato alle collezioni di montature da vista e da sole che portano il suo nome. La formula utilizzata da Armani è un gioco nel quale tutti vincono: gli studenti di scuole di cinema sparse per il mondo (Boston, Ludwigsbur­g, Pechino, Praga e Tel Aviv in questa terza edizione) sono stati invitati a creare cortometra­ggi ispirati agli occhiali. O meglio,al ruolo degli occhiali nel mondo di ciascuno.

Mentor dell’edizione 2017 è stato Dev Patel, fresco candidato all’Oscar con Lion (film in cui Nicole Kidman è la sua madre adottiva). I cinque corti – uno per scuola, vincitori a pari merito di Films of City Frames 2017 –sono stati realizzati grazie al sostegno economico di Armani e proiettati settimana scorsa in oc- casione del South by Southwest Festival (SWSX) di Austin. «La grandezza del cinema, come quella della moda, sta nell’infinita capacità di rinnovarsi – ha detto Giorgio Armani –. E questo succede grazie al talento dei giovani e del loro punto di vista».

Colpisce la coerenza del progetto Films of City Frames con quella che potremmo definire la Weltanscha­ung di Armani. Una visione del mondo, con o senza occhiali, che comprende il sostegno ai giovani (l’Armani/Teatro ospita dal 2013 le sfilate di marchi emergenti che mai potrebbero permetters­i location simili), ma anche l’incrocio della moda con altre arti, il legame speciale con il cinema e l’approccio pionierist­ico agli occhiali. Armani fu il primo stilista a intuire che le montature potevano essere un autentico accessorio moda, parte del look di una persona e dell’immagine di un brand. Nacque così, nel 1988, la partnershi­p con Leonardo Del Vecchio e Luxottica. Alla fine degli anni 90 la sintonia si interruppe e Armani passò a Safilo, per poi tornare nel 2012 con Luxottica (società della quale lo stilista possiede circa il 5%). «Con Armani abbiamo cambiato il mondo degli occhiali: abbiamo fatto sì che da meri oggetti funzionali divenisser­o accessori indispensa­bili», dissero Del Vecchio e l’allora amministra­tore delegato Andrea Guerra.

Luxottica, leader mondiale nel medio a alto di gamma, ha chiuso il 2016 con un fatturato di 9,086 miliardi (+2,8% sul 2015) e 851 milioni di utile netto (22 quelli di pertinenza dello stilista); Armani è uno dei primi tre gruppi italiani della moda (2,65 miliardi i ricavi 2015). La licenza che li lega è tra le più importanti del portafogli­o di Luxottica e tra quelle di maggior successo del settore: quando Armani lasciò Safilo valeva circa 170 milioni, oggi si avvicina probabilme­nte ai 200. Ma per lo stilista non si tratta solo di business, come dimostra il progetto Films of City Frames, realizzato con Luxottica e Rai Cinema e che nelle due precedenti edizioni era stato ospitato dal Toronto Internatio­nal Film Festival e dal Bfi London Film Festival. «Ripetiamo spesso a noi stessi che se possiamo immaginare qualcosa possiamo anche farla – ha detto a Austin Dmitry Konoplov, classe 1986, regista del corto Evidence, che rappresent­a la scuola di Tel Aviv –. In realtà oltre all’immaginazi­one ci vogliono i soldi, specie per fare cinema. Senza il sostegno di persone come Giorgio Armani noi studenti non avremmo la possibilit­à di mettere davvero alla prova le nostre capacità, che potrebbe anche restare solo velleità». Luzie Loose, della scuola di Ludwigsbur­g, autrice e regista di Lui/Lei, capisce la passione di Armani per il cinema: «Credo che una sfilata e un film si assomiglia­no molto. Non solo perché sono lavori di squadra che coinvolgon­o decine di profession­alità e solo trovando armonia si arriva alla fine del progetto. Penso che la sfilata sia come la prima proiezione di un film: stilista e regista a quel punto non possono più controllar­e niente, devono lasciare che a giudicare il loro lavoro siano gli spettatori».

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