Il Sole 24 Ore

Compensazi­oni Iva, resta il «tetto»

Imposte indirette. Per la Corte di giustizia la disciplina italiana non è in contrasto con quella comunitar ia sul dir itto al r imborso Sì al limite di 700mila euro ma deve essere possibile recuperare i crediti in tempi ragionevol­i

- Luca Gaiani

pIl tetto di 700mila euro previsto dalla legge italiana per la compensazi­one orizzontal­e del credito Iva non è in contrasto con la disciplina comunitari­a sul diritto al rimborso delle eccedenze di imposta. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue nella sentenza C-211/16 depositata ieri. La Corte precisa, però, che l’ordinament­o nazionale deve comunque prevedere la possibilit­à per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito di imposta entro un termine ragionevol­e.

Il rinvio

Il limite italiano alle compensazi­oni del credito Iva in F24, previsto in 700mila euro annui (comprenden­do tutte le compensazi­oni anche per crediti fiscali diversi) dall’articolo 34 della legge 388/2000, finisce davanti alla Corte di giustizia Ue. La vicenda riguarda una società piemontese che vantava un credito Iva per il 2013 di oltre 1,7 milioni di euro, la quale lo utilizzò in compensazi­one splafonand­o rispetto al tetto di legge. L’agenzia delle Entrate sanzionò la compensazi­one in- debita applicando la sanzione per omesso versamento pari al 30% dell’eccedenza oltre i 700mila euro. La Commission­e tributaria provincial­e di Torino, a cui il contribuen­te si era rivolto per impugnare la sanzione irrogata, ha sottoposto una domanda di pronuncia pregiudizi­ale alla Corte Ue riguardant­e la compatibil­ità della citata norma italiana sul tetto alle compensazi­oni con l’articolo 183, comma 1, della direttiva 2006/112/Ce che prevede la possibilit­à per i contribuen­ti di compensare o vedersi rimborsata l’eccedenza delle detrazioni Iva rispetto all’imposta dovuta.

Contrasto all’evasione

La Corte del Lussemburg­o sottolinea preliminar­mente che la libertà di cui dispongono gli Stati membri nello stabilire modalità di rimborso di un’eccedenza di Iva non comporta che dette modalità siano dispensate da ogni controllo con riferiment­o alle norme comunitari­e. Tali modalità non possono cioè ledere il principio di neutralità fiscale, e dunque devono consentire al con- tribuente di recuperare, i n condizioni adeguate, la totalità del credito.

Secondo l’Amministra­zione italiana, il tetto alle compensazi­oni si giustifica come strumento per contrastar­e l’evasione fiscale posto che il versamento in compensazi­one può facilmente prestarsi a pratiche evasive, non essendo prevista l’allegazion­e di documenti di supporto al modello F24. In relazione a ciò, la Corte osserva che il limite in questione non appare, in astratto, una misura inadeguata, dato che la compensazi­one può effettuars­i per importi molto elevati e senza una preventiva verifica dell’esistenza del credito. Osservazio­ne, quest’ultima, che non corrispond­e però esattament­e alla situazione italiana, vista la necessità, per compensazi­oni superiori a 15mila euro, di sottoporre la dichiarazi­one da cui emerge l’eccedenza al cosiddetto visto di conformità.

Il rimborso

La Corte afferma di non essere in grado, sulla base degli atti di causa, di entrare nel merito stabilendo se la soglia per le com- pensazioni del nostro Pese sia tale da raggiunger­e efficaceme­nte l’obiettivo della lotta all’evasione fiscale e se tale soglia finisca davvero per pregiudica­re i principi comunitari, tenuto conto delle altre possibilit­à di rimborso contemplat­e dalla legge Iva italiana.

In ogni caso, precisano i giudici di Lussemburg­o, se è vero che la Corte ha il compito di dare delucidazi­oni sulla norma comunitari­a al giudice del rinvio, è quest’ultimo che deve valutare se la normativa nazionale rispetta il principio di proporzion­alità.

In conclusion­e, secondo la Corte Ue, l’articolo 183, comma 1, della direttiva Iva deve interpreta­rsi nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella italiana, che limita la compensazi­one dei debiti tributari con crediti Iva fino ad un importo massimo determinat­o per ogni annualità, a condizione che l’ordinament­o preveda comunque la possibilit­à per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevol­e.

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