Servono dei «matti» per ridare dignità alla nostra politica
Il Pil procapite dell’Italia è inferiore a quello dell’Eurozona ma nonostante ciò la qualità della vita potrebbe essere migliore di quella di Paesi a più elevato reddito se ci fossero servizi pubblici e privati più efficaci per affrontare il disagio sociale, quale quello dei malati allettati in casa, maggiore efficacia del sistema scolastico nei confronti degli studenti che necessitano di maggiore sostegno, se la burocrazia fosse di maggiore aiuto o almeno minore intralcio nella vita dei cittadini e delle imprese, se venissero progressivamente ridotte le disuguaglianze tra Nord e Sud del Paese, se il sistema Italia fosse in grado, tramite una incisiva riduzione della evasione fiscale e della corruzione, di finanziare investimenti pubblici produttivi che riducano la disoccupazione oltre che contribuire alla riduzione del debito pubblico nel medio-lungo termine attraverso l’alta redditività di investimenti bene scelti e realizzati.
Ascanio De Sanctis ,
Roma
Detto così, chi non sarebbe d’accordo? Se però esaminassimo a fondo gli obiettivi indicati dal lettore, scopriremmo facilmente che contro di essi congiurano masse potenti di interessi organizzati alle quali va benissimo che le cose non cambino: e, quindi, avanti con la burocrazia intrusiva, le scuole paralizzate, il fisco vorace, la spesa pubblica in- tangibile. Per fare giustizia di questi interessi parcellizzati, qualche millennio fa si è inventata la politica, ossia la possibilità di contemperare gli interessi particolari in vista del massimo possibile di benessere collettivo. E per raggiungere quest’ultimo abbiamo inventato - a prezzo di guerre, rivoluzioni, tagli di teste e sofferenze più o meno equamente ripartite - un modello, tanto imperfetto quanto insostituibile: la democrazia rappresentativa. Oggi, modello e strumento, ossia politica e democrazia rappresentativa, sono in crisi, travolti da un’ondata apparentemente irresistibile alimentata dall’illusione che basti un clic, o un “mi piace”, per liberarsi dalla mediazione delle istituzioni e di chi le interpreta. Non è un caso che delle priorità, perfette, indicate dal lettore non discuta veramente più nessuno nelle stanze della politica, obnubi-
late dall’agenda imposta da movimenti populisti e qualunquisti che, negando la dignità della politica stessa, minano la democrazia e impediscono un dibattito pubblico serio e fruttuoso. Ma non è detto che la corrente non possa essere arginata: il caso, e l’exploit di Emmanuel Macron dimostrano, chiunque vincerà in Francia, che è ancora possibile parlare all’opinione pubblica con un discorso di fatti e opinioni contro corrente (quanto meno, contro corrente rispetto alle invettive, e alle falsità, dei populisti e alla pigra connivenza di molti organi di informazione). Perciò riprenderei la raccomandazione (del 1951) di Mario Ferrara di dare «un matto» ai liberali. Ferrara intendeva «uno di quei bei matti che non sono mai stati al manicomio e non ci andranno, che sono simpatici a tutti, non fanno ridere né piangere, ma cominciano con il farsi ri- dere dietro dai savii e farsi ascoltare da altri pazzi come loro e, alla fine, si tirano dietro il grande esercito dei savii e ben pensanti; i quali non pensano mai niente, ma lo pensano bene e con prudenza, e professandosi amici della verità non solo si guardano dal dirla, ma hanno paura di sentirsela dire. Tutti costoro hanno bisogno di un matto: lo aspettano e, magari senza saperlo, lo invocano da un pezzo. I matti hanno due meriti: credono in quello che fanno e, a costo di rompersi la testa, di romperla agli altri e di finire, appunto, al manicomio, fanno quello che credono». Oggi, avremmo bisogno tutti, non solo i liberali, di matti capaci di restituire dignità alla politica.