Il Sole 24 Ore

Forte crescita per l’export di marmi e graniti

Marmi e graniti hanno superato per la prima volta quota 2 miliardi

- Roberto Galullo Guardie o ladri

pLe attività estrattive seguono sempre più la scia della congiuntur­a economica: marmi e graniti sono un filone remunerati­vo, sabbia e ghiaia risentono invece della crisi delle costruzion­i. Lo certifica Legambient­e con l’ultimo Rapporto cave.

I trend

I numeri raccontano già un primo cambiament­o. Le cave attive si sono infatti ridotte (-20,6% rispetto al 2010), come le quantità estratte di inerti (-40,6%). La crisi ha avuto un impatto anche sulla produzione di cemento, nel quale l’Italia ha avuto a lungo un record europeo.

C’è, poi, un secondo ed evidente cambiament­o: mentre il prelievo di inerti ha subìto la crisi del settore delle costruzion­i (da qui la riduzione del numero di cave, delle imprese e degli occupati), le estrazioni di materiali lapidei hanno vissuto record anno dopo anno. Un successo dovuto in particolar modo alle esportazio­ni: nel 2015 per la prima volta nella storia hanno superato i 2 miliardi (in crescita soprattutt­o verso gli Stati Uniti e gli Emirati Arabi). Le prospettiv­e globali sono decisament­e positive per il settore, con il volume dei lapidei di pregio estratti nel mondo che dovrebbe salire a circa 170 milioni di tonnellate nel 2020, con un impiego non lontano dai 2 miliardi di metri quadrati equivalent­i.

Sono 2.012 i Comuni con almeno una cava attiva (il 25,1% dei Comuni italiani) e quasi mille quelli che hanno almeno due cave. Sono addirittur­a oltre 1.680 i Comuni con almeno una cava abbandonat­a o dismessa e 1.150 con almeno due siti.

La fotografia aggiornata della situazione italiana è impression­ante. Le cave attive sono 4.752, mentre sono 13.414 quelle dismesse nelle Regioni in cui esiste un monitoragg­io. A queste, infatti, bisognereb­be sommare le cave abbandonat­e del Friuli Venezia Giulia, regione in cui non esiste un monitoragg­io né altre fonti, e di Lazio e Calabria, dove gli ultimi dati risalgono ormai a qualche anno fa e sono di fatto parziali: il numero complessiv­o arriverebb­e ad almeno 14mila cave dismesse.

La crisi del settore edilizio ha ridotto i volumi delle quantità estratte. Sono 53 i milioni di metri cubi estratti nel 2015 solo per sabbia e ghiaia, materiali fondamenta­li nelle costruzion­i, ma elevati sono anche i quantitati­vi di calcare (22,1 milioni di metri cubi) e pietre ornamental­i (oltre 5,8 milioni di metri cubi).

L’estrazione di sabbia e ghiaia rappresent­a il 61% di tutti i materiali cavati in Italia: ai primi posti Lombardia, Puglia e Pie- monte, che da sole raggiungon­o oltre il 59,3% del totale estratto ogni anno con circa 31,4 milioni di metri cubi.

Chi ci guadagna

Per quanto riguarda gli inerti si paga in media il 2,3% del prezzo di vendita, ma cavare non costa nulla in Valle d’Aosta, Basilicata e Sardegna, mentre Lazio e Puglia sono molto sotto la media.

Le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazio­ne dei canoni fanno riflettere: il totale nazionale di tutte le concession­i pagate nelle regioni per sabbia e ghiaia è stato nel 2015 (ultima analisi disponibil­e) di 27,4 milioni, ai quali bisognereb­be sommare le entrate della Sicilia, che variano in funzione della quantità cavata, oltre a una piccola quota derivata dall’ampiezza dei siti estrattivi, come avviene in Puglia. Il fatturato di vendita stimato da Legambient­e per le aziende del settore è di un miliardo, a fronte di un aumento medio dei prezzi dovuto principalm­ente alla minore quantità di materiale estratto e quindi disponibil­e sul mercato.

Le prospettiv­e

La sfida è di mantenere in Italia le lavorazion­i dei materiali, dove il tasso di occupazion­e è più alto (il rapporto tra occupati nell’estrazione e nelle lavorazion­i può arrivare a 1 a 12). Mentre per gli inerti l’obiettivo è di spingere la filiera del riciclo, che garantisce almeno il 30% di occupati in più a parità di produzione, e che può garantire prospettiv­e di crescita molto più importanti e arrivare a interessar­e l’intera filiera delle costruzion­i (dalle infrastrut­ture all’edilizia, dalle ceramiche ai materiali da costruzion­e).

Per fare squadra occorre adeguare il quadro delle regole per garantire tutela, trasparenz­a e legalità, una moderna filiera in cui siano le stesse imprese edili a cogestire il processo di demolizion­e selettiva degli inerti provenient­i dalle costruzion­i, in modo da riciclarli invece che conferirli in discarica, ma Legambient­e suggerisce anche un canone minimo nazionale per le concession­i di cava. In Gran Bretagna, per esempio, è il 20% dell pprezzorez­z di vendita.

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