Il Sole 24 Ore

Delocalizz­are alle partecipat­e non genera indennizzo

- Massimo Bellini

pIl trasferime­nto intercompa­ny della produzione all’estero non genera “avviamento” se il cessionari­o opera in esclusiva per conto del cedente e quest’ultimo è in grado di dimostrare la convenienz­a economica dell’operazione. I princìpi arrivano dalla sentenza della Ctp di Varese 335/5/2016 (presidente Petrucci, relatore Surano), riguardant­e un tema che a causa della crisi molte società hanno dovuto affrontare negli ultimi anni, quello delle riorganizz­azioni aziendali.

La pronuncia nasce da una contestazi­one ex articolo 110, comma 7, del Tuir, riguardant­e la determinaz­ione del valore normale del corrispett­ivo per la cessione di attività produttive da parte di una società italiana a una parte correlata in Polo- nia, di nuova costituzio­ne. Il trasferime­nto aveva comportato la cessione nell’arco di un periodo di cinque anni di beni materiali e immaterial­i, il cui valore di vendita era stato accettato dall’ufficio.

A parere dei verificato­ri, tuttavia, l’operazione configurav­a una cessione di ramo d’azienda, pertanto la società polacca avrebbe dovuto riconoscer­e a quella italiana anche un avviamento nell’anno in cui era stata completata la riorganizz­azione (2010). Ciò in quanto, per l’Agenzia, l’operazione aveva comportato rilevanti perdite di profitto potenziale in Italia e cospicue spese che non sarebbero state sostenute qualora non vi fosse stato il trasferime­nto.

Secondo i giudici della Ctp di Varese la tesi dell’ufficio va respinta in quanto il contribuen­te ha dimostrato nel ricorso che la società polacca non ha mai avuto accesso diretto alla clientela, dato che la distribuzi­one dei prodotti e il know how aziendale erano rimasti in capo all’azienda italiana. In più, nel ricorso e nella discussion­e in udienza erano stati forniti dati precisi sull’andamento dei risultati aziendali prima e dopo la riorganizz­azione e sulla convenienz­a economica della stessa. In particolar­e era stato dimostrato che la concorrenz­a nel settore si era fatta sempre più pressante e senza la riorganizz­azione la società avrebbe perso quote di mercato mettendo a repentagli­o la continuità aziendale, poiché i concorrent­i avevano abbassato i costi di produzione con delocalizz­azioni e utilizzo di mano d’opera a basso costo, «scenario ben noto alla Commission­e e di co- mune esperienza».

La sentenza è una delle poche che trattano le implicazio­ni di transfer pricing nel contesto delle ristruttur­azioni d’azienda. L’aspetto di maggior interesse è rappresent­ato dalle motivazion­i di carattere economico e finanziari­o su cui prima le parti e poi i giudici hanno basato le proprie tesi in relazione all’esistenza o meno dell’avviamento, mentre gli aspetti giuridici legati all’esistenza del ramo d’azienda sono trattati marginalme­nte.

Pur in assenza di un espresso richiamo, i princìpi sono in linea con le disposizon­i del capitolo 9 della Linee guida Ocse sui prezzi di trasferime­nto. Anche le Linee guida, infatti, prevedono che il corretto trattament­o ai fini transfer pricing delle operazioni di riorganizz­azione non possa prescinder­e da un’analisi delle motivazion­i economiche sottostant­i (tra cui, appunto, il livello di concorrenz­a, economie di scala, eccetera) oltre che delle alternativ­e a disposizio­ne delle parti.

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